Note di accredito Iva verso i falliti: il giudice conferma i tempi lunghi
La variazione per il recupero Iva in caso di fatture emesse a soggetti poi entrati in procedura concorsuale può essere emessa solo a conclusione della relativa procedura, poiché solo in tale momento può essere fatta valere l'infruttuosità del credito. Con questa decisione, la Ctr Toscana (sentenza 1125/02/2018) si allinea alla posizione delle Entrate, nonostante la giurisprudenza della Corte di giustizia abbia manifestato problemi di compatibilità dell'articolo 26 del Dpr 633/1972 con i principi della disciplina unionale.
Tra i vari motivi di appello, una società riportava la legittimità dell’emissione di alcune note di accredito nei confronti di clienti falliti.
Occorre ricordare che l'articolo 26, comma 2, del decreto Iva indica, tra i casi in cui il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto a recuperare l'imposta liquidata ma non incassata, l'ipotesi del mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali «rimaste infruttuose», ovvero per effetto di procedure “paraconcorsuali” oggi previste dalla legge fallimentare.
Secondo l'Agenzia, l’infruttuosità si verifica, nel caso di fallimento, solo alla scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto finale oppure, in assenza di somme distribuibili, con il decorso del termine per proporre il reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento (circolare 77/E/2000 e risoluzione 195/E/2008). Il che implica l'insinuazione del creditore alla procedura e un'attesa che può durare molti anni. Da tempo la dottrina lamenta l'eccessiva rigidità di questa interpretazione (in tal senso Norma di comportamento Aidc 192/2015 e circolare Assonime 5/2016), non solo per la contrarietà al principio di neutralità del tributo, ma per l'irragionevolezza di un sistema tributario che, a secondo del comparto impositivo, considera in modo diverso la medesima situazione. Infatti, l'articolo 101, comma 5, del Tuir prevede, ai fini della deducibilità della perdita sui crediti, che costituisca «in ogni caso» elemento «certo e preciso» l'assoggettamento a procedure concorsuali, specificando che ciò si verifica, nel caso specifico, dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento. Da tale momento, pertanto, l'impresa è legittimata a considerare non più recuperabile il credito in ambito reddituale, mentre per l'Iva relativa non risulterebbe verificata quella situazione di infruttuosità tale da giustificare l'emissione della nota di accredito.
I giudici toscani non ravvisano questa discrasia e ritengono non immediatamente applicabile quanto sostenuto dalla Corte Ue con sentenza del 23 novembre 2017 (C-246/16), secondo cui uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile Iva all'infruttuosità di una procedura concorsuale quando tale procedura può durare anche più di dieci anni.
La possibilità di stornare l'Iva versata, ma non incassata, avrebbe dovuto scattare dall'inizio della procedura per tutte quelle apertesi dal 2017 in poi, ma la norma, prevista dalla legge 208/2015, è stata abrogata, prima ancora che entrasse in vigore, dalla legge 232/2016, perpetuando i relativi problemi finanziari per tutte le imprese coinvolte nel default dei propri clienti.