Controlli e liti

Obbligo di disapplicare le norme in contrasto

di Marina Castellaneta

Arriva questa volta da Lussemburgo un nuovo colpo al sistema della doppia sanzione amministrativa e penale per le violazioni delle regole sul versamento dell’Iva, degli abusi di mercato e di insider trading. Ieri l’Avvocato generale Sánchez-Bordona ha rafforzato il principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in tutti i casi in cui è applicabile il diritto Ue. Anche se resta da vedere se la Corte di giustizia aderirà alle conclusioni dell’Avvocato generale, non c’è dubbio che dagli organi giurisdizionali internazionali arrivano “scossoni” a scelte sanzionatorie interne. E proprio nelle conclusioni di ieri si assiste a un allargamento del perimetro di applicazione del ne bis in idem in ambito Ue, con un possibile conflitto tra Strasburgo e Lussemburgo e con inevitabili conseguenze sulla giurisprudenza interna.

Sul doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Grande Stevens, aveva condannato l’Italia per violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea, che assicura il diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso reato, chiarendo che nei casi in cui la sanzione qualificata come amministrativa sul piano interno ha una severità tale da essere equiparabile a una penale non è possibile avviare un nuovo procedimento. Di conseguenza, in forza dell’irrilevanza della classificazione interna della misura, il sistema del doppio binario sanzionatorio è risultato incompatibile con la Convenzione europea. Mentre i giudici nazionali procedevano a tener conto della sentenza, è arrivata, sempre da Strasburgo, la pronuncia A.e B. contro Norvergia con la quale è stato precisato che il principio del ne bis in idem non si applica se i due procedimenti «sono strettamente legati dal punto di vista sostanziale e temporale in modo da realizzare un’integrazione tra le due azioni con la conseguenza che i due procedimenti ne formano uno unico». Un approccio che porta ad attenuare l’applicazione del principio, che vede l’opposizione dell’Avvocato generale per il quale la Corte Ue non dovrebbe tenere conto di questa sentenza. «Il nuovo orientamento adottato dalla Cedu nella sentenza A e B c. Norvegia – osserva Sánchez-Bordona – rappresenta una notevole sfida per la Corte di giustizia» che dovrebbe elaborare «una propria interpretazione dell’articolo 50 della Carta, improntata alla continuità, divergente dalla linea giurisprudenziale rappresentata dalla sentenza della Cedu A e B c. Norvegia. Sarebbe sufficiente verificare che tale interpretazione rispetti e oltrepassi il livello di tutela garantito dall’articolo 4 del protocollo n. 7, quale inteso dalla Cedu», in linea con l’articolo 52 della Carta.

Se la Corte Ue dovesse accogliere le conclusioni dell’Avvocato generale, si avrebbero effetti su larga scala anche sulla giurisprudenza interna che, proprio dopo la sentenza Cedu, aveva ristretto il perimetro di applicazione del ne bis in idem.

L’accoglimento della posizione dell’Avvocato generale porterebbe, poi, a un obbligo di disapplicazione immediata da parte del giudice nazionale. I procedimenti pendenti, contrari al ne bis in idem, dovrebbero essere archiviati «senza conseguenze negative per l’interessato che sia già stato perseguito o sanzionato in un altro procedimento penale o amministrativo avente natura penale». Con la necessità, nei casi in cui lo Stato intenda mantenere il doppio binario, di mettere mano al quadro legislativo interno come ha fatto la Francia che ha mantenuto il sistema doppio, inserendo, però, meccanismi processuali per impedire il cumulo di sanzioni.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©