Omessi versamenti, la rateazione non osta al sequestro preventivo
In presenza di reato di omesso versamento delle ritenute o Iva, l’accesso alla rateazione delle somme non versate in precedenza, non inibiscono il sequestro preventivo nonostante la recente riforma penale tributaria. L’interessato può chiedere la riduzione del sequestro in misura corrispondente alle rate corrisposte con istanza al PM e non al Tribunale del riesame.
A fornire queste indicazioni è la Corte di Cassazione, sezione terza penale con la sentenza 35781 depositata ieri. Nei confronti di un imprenditore indagato per il reato di omesso versamento delle ritenute veniva effettuato un sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca
A seguito della conferma della misura cautelare da parte del tribunale del riesame, l’indagato ricorreva in Cassazione eccependo, tra l’altro, di aver concordato con l’amministrazione finanziaria il pagamento rateale del debito prima dell’emissione del sequestro preventivo e di aver già pagato alcune rate. Evidenziava inoltre che, a seguito delle modifiche al regime penale tributario, introdotte con il Dlgs 158/2015, sarebbe venuto meno, rispetto al passato, l’automatismo del sequestro, allorché sia concordato un piano di rateazione provando la volontà di adempiere all’obbligazione tributaria. La Cassazione ha rigettato l’impugnazione.
Innanzitutto, secondo i giudici di legittimità, le nuove cause di non punibilità in caso di pagamento del debito tributario, introdotte dal citato Dlgs 158, non mutano la natura del sequestro, né della confisca.
Le previsioni che la confisca non operi per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario, anche in presenza di sequestro, e che in caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta, non precludono l’adozione del sequestro preventivo relativamente agli importi non ancora corrisposti.
Nel caso in cui, in virtù di un accordo tra contribuente e amministrazione finanziaria per la rateazione del debito tributario, siano già state versate delle somme, il sequestro non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma va ridotto in misura corrispondente ai ratei versati, altrimenti si verificherebbe una inammissibile duplicazione sanzionatoria in contrasto con il principio secondo cui l’ablazione definitiva di un bene non può essere mai superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa. La richiesta di riduzione e, quindi, la revoca parziale della cautela, deve essere avanzata al PM previa dimostrazione del quantum corrisposto, al netto di interessi e sanzioni e non può essere domandata in difetto di tali indicazioni al Tribunale del riesame o dell’appello cautelare. Tale organo, infatti, è sprovvisto di poteri istruttori e quindi, salvo i casi di immediata soluzione sulla base degli atti, non è in condizione di dirimere questioni contabili derivanti dal pagamento parziale.
La sentenza n.35781/17 della Cassazione