I temi di NT+Modulo 24

Onere della prova al fisco: la partita si gioca sulla fondatezza della pretesa

Di regola in materia tributaria l'onere della prova grava sull'Amministrazione

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di Dario Deotto

Determinando, con l’emanazione dell’atto di accertamento, l’esistenza dell’obbligazione tributaria, l’Amministrazione finanziaria assume la posizione di creditore nei confronti del contribuente, con il conseguente riflesso di rivestire, in sede giudiziale, il ruolo di attore in senso sostanziale sul quale grava l’onere di provare la fondatezza della propria pretesa.

Onere della prova
È questo il punto da cui partire quando si parla di onere della prova in materia tributaria.
Il tema è soggetto da tempo, purtroppo, a numerosissime “deviazioni”. Molte volte, infatti, viene impropriamente attribuito al contribuente un onere di prova quando, invece, detto onere graverebbe sull’agenzia delle Entrate.
Occorre partire dal fatto che la presunzione di legittimità degli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria è stata abbandonata nel tempo in seguito a una serie di pronunce della Cassazione (la prima, storica, n. 2990/1979). In pratica, in passato l'atto dell’Amministrazione veniva considerato “legittimo per principio”, così che si sosteneva che l’onere di dimostrare l’illegittimità o l’infondatezza dello stesso gravasse sempre e comunque sul contribuente. Tale indirizzo, tuttavia, oramai risulta definitivamente tramontato, e a nulla vale la circostanza che, in mancanza di impugnazione, l’atto impositivo risulta idoneo ad assumere i caratteri della definitività.
Così che oggi non dovrebbe più dubitarsi che anche nel rapporto tributario vale la regola dell’onere della prova dettata dall’articolo 2697 del Codice civile, in base al quale «chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento». Questo significa, quanto alle vicende tributarie, che l’Amministrazione finanziaria che vanta un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. In sostanza, affermando, con l’emanazione dell’atto di accertamento, l’esistenza dell’obbligazione tributaria, l’Amministrazione assume la posizione di creditore nei confronti del contribuente, con la conseguenza che riveste in sede giudiziale il ruolo di attore in senso sostanziale sul quale grava l’onere di provare la fondatezza della propria pretesa. Se l’Amministrazione assolve il proprio onere, il contribuente ha la possibilità di difendersi muovendosi nell’ambito dello stesso thema probandum delineato da controparte oppure di allegare in giudizio fatti diversi - quindi impeditivi, modificativi, estintivi - che avrà l’onere di provare. In sostanza, il fatto che il contribuente proponga ricorso avverso l’atto dell’Amministrazione è dovuto essenzialmente per evitare che lo stesso atto divenga definitivo. Nel processo tributario il contribuente formalmente agisce, ma in realtà resiste: promuovere l’azione non può tradursi nell’onere di dover provare i fatti costitutivi di una pretesa che non è la propria (Cipolla).
Chiaramente, sempre in applicazione della regola contenuta nell’articolo 2697del Codice civile, spetta al contribuente la prova del fatto costitutivo nelle liti di rimborso.

Presunzioni
Peraltro, come sostenuto da illustre dottrina (Allorio), la presenza di talune presunzioni legali nell’ordinamento tributario - che, come eccezione, invertono l’ordinaria regola dell’incombenza dell’onere probatorio, addossandolo sul contribuente- non fa altro che confermare indirettamente il principio che l’onere di prova grava, come regola, sugli uffici dell’Amministrazione.
Il fatto è che sulle vicende legate alle presunzioni legali si annidano molte nubi. Va ricordato che le presunzioni legali si suddividono tra assolute e relative. Quelle assolute non danno possibilità di fornire la prova contraria e, in linea di principio, risulterebbero contrarie ai precetti costituzionali in quanto lesive del diritto di difesa poiché impeditive di provare la capacità contributiva. Tuttavia, nell’ordinamento tributario si rinvengono talune presunzioni assolute (ad esempio, quella relativa ai prelievi delle valute estere considerate cessioni a titolo oneroso ai sensi dell'articolo 67 del Tuir) oppure altre vengono considerate tali - come quella della residenza delle persone fisiche nel territorio dello Stato - dal monolitico orientamento della Cassazione. Senza contare che esistono nell’ordinamento tutta una serie di predeterminazioni legali, tipo quella legate agli autoveicoli di cui all’articolo 164 del Tuir, che impediscono di fatto di provare l’effettiva capacità contributiva in relazione ai beni/servizi effettivamente impiegati nell'attività economica.
A tutto questo si sommano veri e propri fraintendimenti come quello delle indagini finanziarie, dove la norma (articolo 32 del Dpr 600/1973) fissa semplicemente l’acquisizione di dati fiscalmente rilevanti da canalizzare, eventualmente, in un atto di accertamento vero e proprio. Il fatto è che la giurisprudenza costante della Cassazione ritiene che la norma fissi delle presunzioni legali, con prova contraria addossata sul contribuente. Da qui il grossolano “mito” degli “accertamenti bancari” quando, invece, la norma stabilisce soltanto, nell’ordinaria dialettica dell’attività istruttoria, la possibilità di dare dimostrazione dell’effettiva consistenza dei dati acquisiti dall’Agenzia.

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