Contabilità

Onlus, le attività connesse possono coprire fino al 66% delle spese

immagine non disponibile

di Gabriele Sepio


Gli enti del terzo settore possono finanziare i propri scopi istituzionali attraverso l’esercizio di attività commerciali rispettando tuttavia specifici limiti. In caso contrario si trasformano, anche a seguito di controlli dell’agenzia delle Entrate, in veri e propri enti commerciali. Tali limiti sono configurati in modo diverso seconda delle varie tipologie di enti. Si tratta di un tema su cui interviene anche la legge delega per la riforma del Terzo settore che avrà il delicato compito di riorganizzare il tema delle attività commerciali svolte dagli enti no profit secondo criteri maggiormente uniformi.

Allo stato attuale, il Tuir ammette che gli enti non commerciali possano svolgere attività di impresa (articolo 143, comma 1) e prevede, per i soggetti in contabilità semplificata, la possibilità di optare per la determinazione forfetaria del reddito di impresa in base a coefficienti di redditività (articolo 145). È comunque necessario assicurarsi che l’attività commerciale non sia prevalente, tenendo conto di parametri legati all’entità delle immobilizzazioni, dei ricavi, dei redditi e dei costi associabili alle attività commerciali ed a quelle istituzionali, da valutare caso per caso assieme ad ogni altro elemento utile ad apprezzare l’effettiva natura delle ente. In caso contrario l’ente perde la qualifica di «non commerciale» e il reddito prodotto entra nella categoria del reddito d’impresa.

I criteri per le Onlus
Criteri diversi sono previsti, invece, per le Onlus, le quali sono tenute a svolgere in via esclusiva le attività elencate all’articolo 10 del Dlgs 460/1997. Più in dettaglio, le Onlus possono svolgere soltanto le attività istituzionali, che si distinguono tra quelle intrinsecamente solidaristiche (come ad esempio la beneficienza, definite «immanenti») e quelle ritenute tali in quanto effettuate a favore a soggetti svantaggiati (si pensi ad esempio all’assistenza sanitaria, che rientra tra le «non immanenti»), nonché le attività «connesse» alle prime. Queste ultime comprendono sia le attività eseguite a favore di soggetti che non si trovano in condizione di svantaggio (ad esempio attività delle case di cura nei confronti di ospiti in condizioni ordinarie: si veda la circolare 48/E/2004), sia altre attività accessorie per natura rispetto a quelle istituzionali (come ad esempio le vendite di modico valore in occasione di campagne di sensibilizzazione ma anche le attività svolte in convenzione con aziende farmaceutiche da parte di Onlus dedite alla ricerca in uno specifico settore scientifico). Le attività connesse, in ogni caso, non devono prevalere su quelle istituzionali cui ineriscono e possono coprire, al più, il 66% delle spese sostenute dalla Onlus.

Mentre le attività istituzionali delle Onlus godono di un regime di totale decommercializzazione, le “connesse” mantengono, invece, la propria natura commerciale, ma i relativi proventi non concorrono alla formazione del reddito imponibile (articolo 150 del Tuir).

Va segnalato che alcune regole di maggiore favore sono previste per le Onlus di diritto, come le organizzazioni di volontariato alla legge 266/1991, che conservano la possibilità di finanziarsi attraverso attività commerciali “marginali”, non imponibili ai fini dell’Ires (articolo 8, comma 4) ed individuate dal decreto 25 maggio 1995 (attività occasionali, svolte con modalità non concorrenziali e, in ogni caso, finalizzate a sostenere gli scopi istituzionali).

Vanno poi considerate anche le misure previste dalla legge 398/1991 a favore delle associazioni senza scopo di lucro, pro loco, associazioni sportive dilettantistiche, che possono optare per la tassazione forfetaria di proventi commerciali fino a 400mila euro, applicando un coefficiente di redditività del 3%, che risulta più vantaggioso rispetto a quelli previsti dall’articolo 145 del Tuir.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©