Controlli e liti

Operazione antieconomica, l’onere della prova ricade sul contribuente

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di Roberto Bianchi

Nel processo tributario, contestata dall’Amministrazione finanziaria l’antieconomicità di un’operazione supportata da una contabilità complessivamente inattendibile in quanto discordante con i criteri di ragionevolezza, diventa gravame del contribuente dimostrare la liceità tributaria della menzionata operazione e il giudice non può, in tale contesto, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea prodotta. Difatti, viene concesso all’Agenzia delle entrate di diffidare dell’attendibilità delle operazioni dichiarate e arguire minori costi, usufruendo di presunzioni semplici e di realistici parametri di riferimento, con consequenziale trasferimento dell’onere della prova in capo al contribuente, chiamato a dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate in seguito alla contestata antieconomicità. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ ordinanza 21859/2018 .

I fatti

La Ctr della Liguria ha respinto l’appello proposto dall’agenzia delle Entrate nei confronti di una Srl, dichiarando l’illegittimità dell’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio ha ripreso a tassazione, ai fini Irpeg, Irap e Iva un’ingente somma per indebita deduzione di costi e detrazione d’imposta, in relazione a una fattura di un fornitore relativa ad assunte operazioni fittizie.
La Ctr ha osservato che, nell’avviso di accertamento, veniva contestata la non veridicità dell’importo complessivo fatturato e lo stesso Ufficio ha incentrato la difesa sulla non congruità della fatturazione, non indicando in modo specifico quali prestazioni non sono state eseguite ma fittiziamente fatturate.
Avverso la sentenza della Ctr, l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione denunciando, in relazione all’articolo 360, Codice di procedura civile, comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per avere la Ctr fondato la decisione sulla riscontrata congruità della fatturazione, in base a un preteso ma non contestato criterio economico, senza argomentare alcunché in ordine ai molteplici elementi dedotti a contrario dall’Ufficio, nell’atto di appello.

La decisione della Cassazione

A parere del Collegio di legittimità il ricorso è fondato in quanto la Suprema Corte ha chiarito che nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dall’imprenditore, qualora basata su una contabilità complessivamente inattendibile e pertanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione e il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea (Cassazioe, sentenza 2484/2011). Infatti, è consentito al fisco di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità (Cassazione, sentenza 25257/2017).
Si ritiene opportuno rappresentare, tuttavia, che se l’Ufficio non ammette alla radice la deduzione di una spesa, considerandola anti economica in quanto sproporzionata sotto il profilo quantitativo, lo stesso nega, di fatto, anche se in ragione della sua entità, ogni collegamento della stessa con l’attività esercitata dall’imprenditore. In tale circostanza saremmo pertanto in presenza di una rettifica di tipo analitico e, perciò, l’Ufficio dovrebbe provvedere a motivare il difetto di inerenza in conseguenza della mancanza di un collegamento della spesa con l’attività svolta dall’imprenditore.
Per questo motivo, qualora l’Ufficio, attraverso presunzioni semplici, provvede a rideterminare al ribasso una spesa reputandola antieconomica, sussiste un onere della prova in forza del quale, in relazione alle argomentazioni presuntive poste a base della rettifica, il menzionato gravame incombe sull’Amministrazione finanziaria, considerato che non costituisce una presunzione legale.

Cassazione, sezione tributaria, ordinanza 21859 del 7 giugno 2018

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