Operazioni soggettivamente inesistenti: per la detrazione Iva prova al contribuente
In linea di principio, è precluso al cessionario dei beni il diritto alla detrazione dell’Iva nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche solo sotto il profilo soggettivo, tranne nel caso in cui possa provare di essere in buona fede, ossia che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta; prova, quest’ultima, che non può consistere solo nella circostanza che la merce sia stata consegnata e la fattura, Iva compresa, sia stata effettivamente pagata.
Così si è espressa la sezione tributaria della Cassazione nella sentenza n. 11661 del 5 giugno, in accoglimento del ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria ed in linea con l’orientamento giurisprudenziale prevalente (sentenza n. 25775 del 2014; 20059 del 2014; 17977 del 2013).
A seguito di un controllo effettuato dalla Guardia di finanza su due società, l’agenzia delle Entrate recuperava a tassazione la maggiore Iva dovuta da un’altra società per effetto dell'indebita detrazione dell'imposta in relazione a tre fatture emesse dalle due società – apparenti fornitrici di merce nei confronti di quella accertata – e ritenute connesse ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Il ricorso avverso l'atto di recupero dell’Iva indebitamente detratta veniva accolto in primo grado, con sentenza confermata anche in appello.
In particolare, i giudici del gravame hanno ritenuto che, non essendo stati allegati dall’Ufficio gli atti istruttori richiamati nell'accertamento, non era stata dimostrata l'inesistenza delle operazioni contestate, considerato anche il regolare pagamento delle fatture incriminate.
Nell’articolato ricorso in Cassazione, l’Amministrazione finanziaria lamenta, tra le altre, l’erroneità della sentenza impugnata che ha violato il principio secondo cui, una volta che l’Amministrazione abbia dimostrato l'inesistenza soggettiva delle operazioni documentate con fattura, anche con semplici elementi indiziari, spetta al contribuente, sulla base dell'inversione dell'onere della prova, dimostrare l'effettiva esistenza delle stesse.
La Cassazione accoglie il ricorso e ricorda che con l’espressione “fatture inesistenti” ci si riferisce sia all'ipotesi di assenza totale dell’operazione sia a quella in cui l’operazione venga realmente effettuata ma tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati in fattura (sentenza n. 23074 del 2012; 8132 del 2011; 6378 del 2006).
In quest’ultima ipotesi, sarà il cessionario/committente – che intende detrarre l’Iva pagata in rivalsa al fornitore e dedurre il relativo costo ai fini delle imposte dirette – dimostrare che l’operazione è realmente stata effettuata tra i soggetti indicati in fattura e non con un interposto.
Nel caso di specie, chiarisce la Corte, non serve al contribuente dimostrare l’avvenuto pagamento delle fatture ed il ricevimento della merce, atteso che, dagli elementi istruttori agli atti, emerge come le due ditte fornitrici erano prive di sedi operative adeguatamente attrezzate, di dipendenti e di una regolare contabilità aziendale.
Questa circostanza, conclude la Corte, esclude di per sé la buona fede in capo al contribuente che – avendo versato l’Iva ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non obbligato al pagamento dell'imposta – deve provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene non fosse colui che ha fatturato, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’Iva versata (sentenza n. 24426 del 2013; n. 6229 del 2013).