Participation exemption, il consorzio che ha perso la concessione non è «commerciale»
Ai fini della participation exemption si è in presenza di “un’impresa commerciale” qualora la società partecipata risulti dotata di una struttura operativa idonea alla produzione o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi, ovvero nel caso in cui l’impresa disponga della capacità, anche solo potenziale, di operare sul mercato.
La conferma arriva dalla risposta all’interpello n. 502 pubblicata ieri, con cui le Entrate hanno negato l’applicabilità del regime di participation exemption in relazione alla cessione da parte di una società di capitali di una quota detenuta in un consorzio titolare di una concessione demaniale.
A seguito di una serie di vicende legate alla concessione, questa veniva sospesa prima parzialmente poi integralmente nel corso del 2009, per consentire il completamento di determinati lavori inerenti il recupero funzionale dell’area. L’esercizio 2009 rappresentava quindi l’ultimo anno di effettiva operatività del Consorzio, a seguito della sospensione della concessione.
Nonostante il lungo periodo di inattività (la cessione della quota si perfezionava nel dicembre 2018) la società istante riteneva che sussistesse il requisito della commercialità in capo al consorzio nel periodo triennale antecedente la cessione, in quanto la piena operatività del consorzio stesso era stata impedita da una serie di eventi di carattere giuridico (sospensione della concessione e successivo contenzioso amministrativo).
A tal fine, la società richiamava un passaggio della circolare n. 10/E del 2005 con cui l’Agenzia ha esaminato l’ipotesi in cui il requisito di commercialità debba essere valutato rispetto ad una società in liquidazione ordinaria, affermando il principio per cui il riferimento temporale triennale utile per la commercialità non debba decorrere necessariamente dal momento di realizzo della partecipazione, ma debba retroagire all’inizio della fase di liquidazione della partecipata. Tale principio è stato esteso dalla circolare 7/E del 2013 con riferimento alle società in “liquidazione di fatto”, in cui l’interruzione dell’attività derivi da un depotenziamento dell’azienda.
In base a tali principi, la società riteneva che la situazione prolungata di non operatività del consorzio, derivante dalla sospensione della concessione, potesse essere assimilata ad una “liquidazione di fatto”; pertanto, la sussistenza del requisito commercialità doveva essere valutata con riguardo al triennio precedente al momento di inizio della “liquidazione di fatto” (sospensione della concessione).
La risposta delle Entrate, peraltro, non entra più di tanto nel merito della possibilità di assimilare la situazione di non operatività derivante dalla sospensione della concessione ad una liquidazione di fatto. Si afferma, infatti, che nel caso di specie, esaminando l’effettiva attività svolta dal consorzio, questa non configura un’impresa commerciale, ovvero una struttura operativa idonea allo sfruttamento, anche solo potenziale, della concessione.
Infatti, anche in fase antecedente alla sospensione della licenza, il consorzio aveva una struttura organizzativa, sia in termini di personale che in termini di immobilizzazioni materiali, non dissimile a quella esistente nel lungo periodo di inattività e quindi non risultava evidente alcun depotenziamento dell’attività tale da configurare una “liquidazione di fatto”.
Pertanto, le Entrate hanno ritenuto non sussistente, in capo al consorzio, il requisito di commercialità con conseguente impossibilità di applicazione del regime di esenzione della plusvalenza.
Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 502/2019