Imposte

Penalizzati i crediti «commerciali»

di Giorgio Gavelli

I crediti dei soci non sono tutti uguali ai fini Ace: secondo le Entrate, solo quelli di natura finanziaria possono (in caso di rinuncia o conversione a capitale) formare base Ace. È un’interpretazione penalizzante che, oltretuttto, non trova appiglio nei principi contabili in vigore.

L’articolo 5, comma 2, lettera a) del Dm 3 agosto 2017 afferma che rilevano come elementi positivi della variazione di capitale proprio i conferimenti in denaro versati dai soci, nonché quelli versati per acquisire la qualifica di soci (in linea con il precedente Dm del 14 marzo 2012 e innovando rispetto alla Dit). Per espressa previsione «si considera conferimento in denaro la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società nonché la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale».

La norma non qualifica i crediti dei soci dal punto di vista oggettivo, così come del resto accade nei principi contabili. L’attuale principio Oic 28 (par. 36) prevede che la rinuncia del socio al proprio credito «è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito», con la sola specificazione che ciò accade quando dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società. Ma si tratta di una situazione comune tanto alla rinuncia/conversione di crediti finanziari quanto di quelli sorti, ad esempio, da operazioni commerciali, dalla deliberazione di dividendi, o da compensi spettanti al socio come amministratore e non incassati.

La Relazione accompagnatoria al previgente Dm del 14 marzo 2012 affermava che, sulla base di una non meglio chiarita coerenza con il dettato normativo, «la rinuncia ai crediti o la loro compensazione non può che riguardare esclusivamente i crediti aventi natura finanziaria, cioè derivanti da precedenti finanziamenti in denaro». Quindi le medesime operazioni sarebbero irrilevanti in caso di crediti sorti ad altro titolo.

A ben guardare, queste affermazioni non sono ripetute nella Relazione al Dm del 3 agosto 2017, ma va tenuto presente che tale Relazione precisa che «per quanto non espressamente modificato dal presente decreto, restano validi i chiarimenti forniti nella relazione al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 14 marzo 2012, ora abrogato». Senza considerare che l’Agenzia ha ribadito la propria posizione anche con la circolare 12/E/2014 (par. 3.2).

Non ci sono, quindi, segnali di un mutamento interpretativo, anche se ce ne sarebbe più di un motivo. Da un lato, infatti, la rinuncia a un credito di natura commerciale costituisce per il socio pur sempre la rinuncia ad un credito pecuniario, il cui assolvimento richiede un pagamento in denaro. Dall’altro, la rinuncia di un terzo a un proprio credito costituisce sopravvenienza attiva, che concorre (se la gestione è positiva) a costituire l’utile di periodo, il quale, ove accantonato, forma base Ace.

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