Controlli e liti

Per gli amministratori di diritto il fallimento non implica la bancarotta fraudolenta

immagine non disponibile

di Ferruccio Bogetti e Gianni Rota

Non c’è alcun automatismo tra fallimento della società e contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale in capo agli amministratori di diritto della società fallita. Intanto non si può fare discendere dalla semplice accettazione della carica ma occorre prima accertare se essi abbiano avuto consapevolezza di assumersi un rischio. Poi non può neppure desumersi in base alla posizione rivestita a seguito dell’accettazione della carica ma occorre prima verificare se abbiano rinunciato al loro ruolo di garanti del patrimonio aziendale favorendo così le manovre occulte degli altri amministratori di diritto e/o di fatto. Così la Cassazione n. 9951/2018 depositata ieri.

Un uomo e una donna, componenti del consiglio di amministrazione di una srl, il primo in qualità di presidente e la seconda in qualità di consigliere senza deleghe, a seguito del fallimento della società vengono rinviati a giudizio, insieme agli altri amministratori del Cda, per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale a seguito del mancato rinvenimento di alcuni cespiti aziendali.

La difesa dei ricorrenti

Essi si difendono. Nonostante la carica formale rivestita in seno alla società, il ruolo svolto è stato subalterno rispetto a quello degli altri due consiglieri, i quali erano gli effettivi dominus della società e impartivano gli ordini. L’uomo, dopo soli cinque mesi dalla nomina, ha rimesso il suo mandato di presidente del consiglio di amministrazione nelle mani dei soci mentre la donna è rimasta estranea alle dinamiche organizzative e decisionali della società poi fallita avendo rivestito, senza delega alcuna, il solo ruolo formale di componente del consiglio di amministrazione.

L’opposizione del pubblico ministero

Ma il pubblico ministero insiste per la fondatezza delle accuse loro rivolte. La posizione di garanzia che grava sui consiglieri di amministrazione in base alla funzione espletata nell’organigramma societario impone sempre loro di attivarsi in ogni momento per impedire la commissione di qualsivoglia atto depauperativo del patrimonio aziendale. Non conta che gli imputati successivamente abbiano agito, il primo in qualità di presidente dimissionario e la seconda in quanto estranea alle dinamiche aziendali.

La sentenza

I giudici di merito riconoscono le colpe loro ascritte e li condannano. I due non demordono e vanno in Cassazione, dove la Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata. Nel caso di mancato reperimento dei cespiti aziendali presso gli amministratori di diritto della società fallita non è possibile, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione loro conferita, presumere automaticamente la loro sottrazione dolosa.

Infatti la presunzione in capo agli amministratori di diritto non può desumersi dal consenso prestato nel ricoprire formalmente la carica, perché bisogna prima accertare se essi, laddove emergano successivamente operazioni in frode ai creditori sociali, abbiano avuto la consapevolezza di assumersi un rischio; dalla posizione di garanzia ricoperta dopo l’accettazione della carica, dovendosi prima verificare se essi hanno piegato il loro ruolo di garanti dell’integrità del patrimonio aziendale a quello di schermo delle manovre occulte di altri amministratori di diritto e/o di fatto.

Cassazione, sentenza n. 9951

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©