Professione

Per la crescita della Stp pesano i vincoli sui soci e sui diritti di voto

Tutti i freni al modello societario: dal divieto per il professionista di avere quote in più Stp alla maggioranza qualificata che limita i soci di capitale

AdobeStock

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

La situazione giuridica delle società tra professionisti è l’ennesima dimostrazione di come norme e giurisprudenza siano spesso scollegate dalla realtà: da un lato aumenta l’interesse verso questo strumento giuridico innovativo, dall’altro vincoli normativi eccessivi e incertezze applicative ne impediscono un vero e proprio decollo.

Le criticità
In campo fiscale, non ci sono solo i dubbi generati dalla recente sentenza della Cassazione (si veda l’altro servizio in pagina). Ci sono anche problemi nell’affrontare il passaggio dagli studi individuali o dagli studi associati alla Stp e viceversa. La trasformazione dello studio associato o il “conferimento” dello studio singolo sono operazioni in chiaroscuro che presentano criticità fiscali, con il rischio di essere qualificate come atti realizzativi che generano materia imponibile, così come il passaggio da Stp a studio associato può generare plusvalenze da destinazione a finalità estranee al regime d’impresa. Si tratterebbe di allineare la normativa a quella valida per le aziende nel reddito d’impresa, introducendo un chiaro principio di neutralità nel passaggio da un regime fiscale all’altro quando l’attività sottostante è quella professionale.
Ma anche nelle norme istitutive della Stp si trovano limitazioni eccessive. Sotto questo profilo, in ottica di semplificazione, non si capisce perché debbano esistere normative differenziate a seconda del tipo di attività svolta (Stp generiche, società tra avvocati, società tra ingegneri), quando il corpo regolatore potrebbe benissimo essere unico.

Le scelte decisionali
In secondo luogo, vi sono troppi vincoli: ad esempio, un professionista può essere socio di una sola Stp, mentre può far parte di tutti gli studi associati che vuole, e questo impedisce partecipazioni differenziate in funzione dell’attività svolta o dell’area geografica interessata. Anche per i soci di capitali vale questa limitazione, che non ha senso se si pensa che per loro esiste già un altro limite alla dimensione massima della loro quota. Sarebbe meglio chiarire normativamente che per il rispetto di questi limiti contano solo i diritti di voto, recependo alcuni orientamenti espressi dal comitato dei notai del triveneto: è legittimo che i soci di capitale abbiano quote, senza diritto di voto, anche in misura superiore al terzo del capitale sociale, pure arrivando a detenere la maggioranza assoluta del capitale sociale, purché la minoranza detenuta dai soci professionisti sia superiore ai due terzi delle azioni aventi diritto al voto.
Ricordiamo che, secondo questi orientamenti, in tutte le Stp, fermo restando il vincolo del voto per due terzi ai professionisti, trovano applicazione integrale le altre regole sulla determinazione delle maggioranze decisionali proprie del modello societario che si sceglie, compresa la possibilità di prevedere nei patti sociali o nello statuto quorum decisionali superiori ai due terzi, rendendo in tal modo necessario il concorso dei soci non professionisti nell’adozione delle decisioni.

Le modifiche possibili
Peraltro, una semplificazione normativa che assicuri comunque la prevalenza dell’aspetto professionale delle Stp potrebbe prevedere che ai soci professionisti spetti semplicemente la maggioranza dei diritti di voto, anziché la maggioranza qualificata dei due terzi attualmente richiesta. Un cambiamento - realistico - su tutti questi aspetti renderebbe più fluidi sia la partecipazione dei professionisti alle varie entità sia l’afflusso di risorse di capitali quanto mai indispensabili per la crescita dimensionale che il mercato e la situazione economica richiedono.
Infine, andrebbero chiarite in modo definitivo le regole di governance delle Stp. Attualmente la normativa non prevede nulla, per cui si dovrebbero applicare le norme del codice civile per ciascun tipo societario prescelto. Quindi, una Stp in forma di Srl potrebbe essere amministrata anche da soggetti che non sono professionisti e neanche soci. Alcune opinioni (documento del Consiglio nazionale e della Fondazione dei dottori commercialisti del settembre 2020) mostrano una preferenza per l’amministrazione affidata a professionisti soci. Altre realtà (come il regolamento forense) richiedono invece che la maggioranza degli amministratori sia composta da avvocati soci. Una norma aiuterebbe a fare chiarezza.

In mezzo al guado

Lo sviluppo frenato
Le Stp sono a metà del guado: da una parte c’è, come dimostrano i numeri, l’interesse a costituire sempre di più società tra professionisti, dall’altra il fenomeno rimane comunque circoscritto a una parte limitata del mondo professionale. E questo per i troppi vincoli normativi e le incertezze applicative

I nodi da sciogliere
Oltre all’inquadramento del reddito delle Stp, su cui si è pronunciata di recente la Cassazione, ci sono anche altri aspetti da mettere a fuoco: il trattamento fiscale del conferimento dello studio singolo o della trasformazione di quello associato in Stp, le normative differenziate in base all’attività svolta, il vincolo che impone al professionista di essere socio di una sola Stp, le regole della governance (ora affidata al Codice civile)

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©