Controlli e liti

Per le dichiarazioni infedeli la condanna è revocabile

di Laura Ambrosi

L’errata imputazione nell’esercizio di competenza di ricavi come l’illegittima deduzione di costi , se reali, non integrano più il reato di dichiarazione infedele con la conseguenza che eventuali condanne ancorchè passate in giudicato devono essere revocate. A precisarlo è la Corte di cassazione , terza sezione penale, con la sentenza n. 30686 depositata ieri.

L’amministratore di una società era stato condannato in via definitiva per dichiarazione infedele (articolo 4, Dlgs 74/2000 ), per aver imputato ricavi nell’anno 2003 in luogo che 2004.

L’interessato, in conseguenza delle modifiche normative intervenute dal 22 ottobre 2015, chiedeva al giudice dell’esecuzione la revoca della condanna, in quanto la condotta al tempo censurata non costituiva più reato. In passato, infatti, la norma prevedeva che gli errori di competenza non potessero costituire fatti penalmente rilevanti per il reato di dichiarazione fraudolenta ovvero infedele, solo se commessi sulla base di metodi costanti di impostazione contabile.

Con la riforma dei reati tributari , invece, tutti gli errori di competenza non rilevano ai fini della dichiarazione infedele, a prescindere cioè che derivino da metodi costanti di imputazione contabile o meno. Il giudice dell’esecuzione rigettava la richiesta di revoca ritenendo, tra l’altro, la condotta dell’amministratore connotata da fraudolenza.

La Suprema Corte, riformando la decisione, ha innanzitutto precisato che il giudice dell’esecuzione deve rigorosamente limitarsi ad accertare il contenuto e la portata della sentenza di condanna, astenendosi da valutazioni di merito dei fatti accaduti. Di conseguenza il comportamento dell’imprenditore non poteva essere più oggetto di valutazione.

Il giudice doveva, infatti, limitarsi a confrontare la struttura della vecchia incriminazione rispetto alla nuova, per poi valutare se il fatto contestato e riconosciuto in sentenza, avesse rilevanza penale. Nella specie, in passato l’articolo 4 del Dlgs 74/2000 prevedeva che per l’integrazione del reato di dichiarazione infedele non occorresse la sussistenza di fraudolenza, poiché era sufficiente l’indicazione di elementi attivi o passivi non effettivi superando specifiche soglie di punibilità. In vigenza di tale previsione, l’articolo 7 (ora abrogato) disponeva che non fossero punibili le rilevazioni di costi o ricavi in violazione dei criteri di competenza, ma commessi sulla base di metodi costanti di impostazione contabile.

Con la riforma, è stata ridisegnata la fattispecie della dichiarazione infedele, prevedendo in estrema sintesi al superamento delle soglie la rilevanza penale di omessa annotazione di ricavi, sotto fatturazioni e deduzione di costi solo se inesistenti.

In ogni caso non integra il delitto l’errata imputazione temporale, senza però subordinarla, come avveniva in passato, alla derivazione di metodi costanti di impostazione contabile. Ne consegue così, che il reato non è integrato se la condotta è realizzata in violazione dei criteri di competenza, inerenza ed indeducibilità.

Nella specie, dal testo della sentenza impugnata emergeva chiaramente che il fatto contestato riguardava esclusivamente la violazione del principio di non corretta imputazione dei ricavi e la condanna era stata pronunciata sul presupposto che ciò non rispondesse a metodi costanti di impostazione contabile.

Poiché la nuova norma, esclude che tale comportamento costituisca ora reato, va revocata, in applicazione del favor rei, la sentenza di condanna a suo tempo emessa.

La sentenza n.30686/17 della Cassazione

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©