Controlli e liti

Per il Fisco il prestito per l’uso d’oro non è un contratto di mutuo

di Ferruccio Bogetti e Gianni Rota

Il contratto di «prestito d’uso d’oro» ai fini fiscali non è assimilabile al contratto di mutuo. Intanto l’interpretazione del contratto da parte del giudice tributario si sottrae a qualsiasi censura anche quando, pur tenendo conto delle altre pattuizioni contrattuali, lo porti ad escludere l’accostamento al contratto di mutuo ai soli fini fiscali. Poi secondo il Tuir i ricavi provenienti dalla cessione dei beni mobili si considerano di competenza dell’esercizio in cui è avvenuta ed i costi sostenuti sono di competenza dello stesso esercizio e tale norma non può essere disattesa attraverso lo sfasamento temporale delle componenti reddituali. Così la Cassazione, quinta sezione civile, sentenza n. 23171-2017 (Pres. Greco, Rel. Iannello) depositata mercoledì scorso.

La vicenda. Un Spa svolgente attività orafa, sulla base delle risultanze di una verifica fiscale per gli anni dal 2005 al 2009, subisce da parte dell’Amministrazione il ricupero a tassazione ai fini Ires ed Irap dei costi riferiti ai contratti di «prestito d’uso d’oro» stipulati con una banca e conseguenti a perdite patite in base ai contratti derivati di currency options di copertura per l’andamento del prezzo dell’oro. Secondo l’Amministrazione, infatti, trattandosi di contratti atipici in base ai quali la banca fornisce, dietro pagamento degli interessi, l’oro necessario allo svolgimento dell’attività. Successivamente la contribuente, sempre secondo l’Amministrazione, aveva l’obbligo di restituire l’oro alla scadenza stabilita - o di corrispondere l’equivalente in denaro - e dunque i costi relativi potevano essere dedotti nell’esercizio in cui veniva esercitato il diritto di opzione per acquistare la proprietà dell’oro e non invece, come aveva fatto la contribuente, nel momento in cui era avvenuta la consegna dell’oro.

Le due tesi. La società si oppone. Nei contratti di «prestito d’uso d’oro», per effetto della consegna dell’oro, si ottiene la piena disponibilità, reale e giuridica dell’oro consegnato e si assumono i rischi del perimento. Dunque il momento perfezionativo del contratto coincide con la c.d. traditio, ovvero con la consegna della cosa fungibile al mutuatario, che ne acquista così la proprietà. Ne consegue che l’esercizio di competenza per la deduzione delle spese è quello in cui è avvenuta la consegna dell’oro.
L’amministrazione resiste. Intanto l’interpretazione del contratto deve essere conforme agli articoli 1362 e 1363 del Codice Civile e non può prescindere dal nomen iuris del contratto, dalla comune intenzione delle parti e dal loro successivo comportamento concludente. Poi è lo stesso contratto stipulato con la banca a prevedere che «il trasferimento della proprietà dell’oro greggio avviene al momento dell’esercizio dell’opzione».

La sentenza. I giudici di merito sposano la tesi della contribuente e accolgono il ricorso costringendo l’Amministrazione ad andare in Cassazione. Ma la Corte sconfessa definitivamente la legittimità della pretesa invocata per i seguenti motivi:

•L’esercizio del potere/dovere di qualificazione del contratto di «prestito d’uso d’oro» da parte del giudice del merito è legittimo e si sottrae a qualsiasi censura laddove la previsione considerata nel contesto delle altre pattuizioni contrattuali, porti ad escludere l’accostamento ai fini fiscali al contratto di mutuo. Questo in quanto l’attività di interpretazione del contratto, volta all’individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento riservato al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità mentre la qualificazione del contratto, che si esaurisce nell’applicazione di norme giuridiche, può formare oggetto di verifica da parte del giudice di legittimità;

•L’individuazione dell’esercizio di competenza cui riferire la deducibilità dei costi relativi al contratto di «prestito d’uso d’oro» trova conferma nella sua funzione tipica, che è essenzialmente quella di finanziamento. Questo in quanto, in base all’attuale articolo 109 del Tuir, «il principio di competenza comporta che rileva il momento di maturazione dei fatti gestionali e non quello dell’incasso o del pagamento sicché i ricavi provenienti dalla cessione dei beni mobili si considerano di competenza dell’esercizio in cui è avvenuta la consegna o la spedizione, mentre i costì sostenuti sono di competenza dell’esercizio in cui si producono i ricavi» e dunque, in caso contrario, sarebbe disattesa la predetta norma con inevitabile sfasamento temporale delle componenti reddituali.

La sentenza n.23171/17 della Cassazione

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