Per l’accertamento basta il brogliaccio
È legittimo l’accertamento induttivo fondato sui brogliacci rinvenuti in sede di verifica: si tratta, infatti, di documenti contabili dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. A confermare questa interpretazione è la Corte di cassazione con la sentenza n. 16060 depositata ieri.
In esito a una verifica, a una società venivano contestati maggiori ricavi desunti dalla documentazione extra contabile rinvenuta. L’avviso di accertamento emesso conseguentemente dall’agenzia delle Entrate era impugnato dalla contribuente, la quale eccepiva l’illegittima determinazione induttiva del reddito. Entrambi i giudici di merito confermavano la pretesa. La società proponeva così ricorso per Cassazione.
I giudici di legittimità hanno preliminarmente ricordato che la contabilità in nero costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che legittima di per sé l’accertamento induttivo. L’onere della prova è poi trasferito sul contribuente, il quale al fine di contestare l’atto impositivo, può fornire qualunque prova contraria in suo favore.
In proposito, la Suprema Corte ha evidenziato che tra le scritture contabili disciplinate dal codice civile sono compresi «tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, ovvero rappresentano la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta». Ne consegue così che anche la contabilità in nero assume valore probatorio utile per la determinazione del maggior reddito.
Nella specie, nel corso della verifica era stato rilevato un ammanco di cassa contanti per oltre 100mila euro, atteso che il mastrino riportava un saldo contabile di molto superiore al denaro effettivamente presente. Erano poi stati trovati dei brogliacci riportanti assegni post-datati e cambiali e un libro giornale non vidimato e non bollato. La società non aveva fornito alcun elemento utile a smentire tale tesi, essendosi limitata a sostenere che i documenti rinvenuti erano necessari a monitorare i crediti a media e lunga scadenza.
La decisione conferma l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità sul punto. Il principio è essenzialmente fondato sulla circostanza che la documentazione rinvenuta rende inattendibili di per sé le scritture contabili ufficiali con la conseguenza che diviene legittima la ricostruzione induttiva (così Cassazione, sentenza n. 9442/2017). In proposito va segnalato che recentemente (Cassazione, sentenza n. 2466/2017) è stato precisato che la presenza di dipendenti “in nero” non legittima automaticamente l’accertamento induttivo in quanto è necessario valutare la gravità della violazione rispetto alla realtà aziendale del contribuente. Ne consegue così che la contabilità potrebbe non essere inattendibile nonostante la constatazione di lavoratori irregolari.
La sentenza n. 16060/2017 della Cassazione