Per l’Iva una soluzione compatibile con le regole Ue
La pace fiscale per chi svolge un’attività economica o professionale si trova a dover fare i conti con l’Iva. Tranne il caso, numericamente marginale, dei contribuenti con attività totalmente esente, come i medici che svolgono unicamente attività sanitarie, chi non ha dichiarato integralmente i suoi ricavi o compensi ha evaso le imposte sui redditi, con i contributi previdenziali e anche l’Iva.
Non è la prima volta che il nostro Paese detta disposizioni per la definizione agevolata dell’Iva. La Corte Ue è, però, intervenuta due volte, condannando l’Italia per aver rinunciato ad accertare questo tributo, in quanto una quota del gettito costituisce una risorsa propria dell’Unione europea.
Le censure comunitarie erano fondate su due aspetti:
■il condono “tombale” precludeva qualsiasi ulteriore controllo, e determinava un gettito tanto minore quanto più elevata era stata l’evasione, trattandosi di una percentuale calcolata sul dichiarato;
■il condono “integrativo semplice” concedeva una franchigia pari al 50% di quanto oggetto della nuova dichiarazione, azzerando pertanto l’imposta in questa area di tolleranza. Ovvero chi avrebbe dovuto correttamente integrare per 1.000, bastava che lo facesse – ad esempio – per 700, così che questa maggior imposta lo liberava dai 300 che l’ufficio avrebbe ancora potuto accertare.
La Corte aveva ritenuto inconsistente, ai fini della condanna, che il nostro Paese affermasse empiricamente che il gettito da condono poteva essere stimato in misura superiore al prevedibile gettito di una più dettagliata attività di controllo, specie dopo l’esaurimento delle fasi contenziose.
Le due sentenze della Corte Ue sono state pronunciate il 17 luglio 2008 (causa C-132/06) e l’11 dicembre dello stesso anno (causa C-174/07). Si salvarono solo le definizioni agevolate del contenzioso pendente, in quanto l’attività di accertamento era stata portata a termine.
Il nuovo provvedimento in bozza (decreto legge fiscale) risulta rispettoso delle regole unionali: l’integrazione deve essere, infatti, eseguita nella misura in cui il contribuente ritenga che rispetti la sua attività effettiva, e che, pertanto, non possa formare oggetto di un’ulteriore attività di accertamento.
Nessun problema anche per il calcolo del maggior imponibile con l’aliquota media delle operazioni attive (al netto delle cessioni di beni ammortizzabili che non fanno volume d’affari) oggetto dell’originaria dichiarazione, la cui presentazione è condizione per l’accesso a questo regime di integrazione. Il problema riguarda prevalentemente i commercianti al dettaglio, che vendono prodotti con più aliquote. In questo ambito, peraltro, molti si avvalgono della «ventilazione», registrando i corrispettivi giornalieri per totale e riproporzionando per aliquota in base alla composizione degli acquisti.
Un altro settore con più aliquote è quello dell’edilizia, che può spaziare dal 4% all’aliquota ordinaria. Ma anche in questo caso la dichiarazione ha per oggetto operazioni non fatturate, e sarebbe pertanto impossibile e inutile pretendere, oltre a tutto in tempi brevi, ricostruzioni analitiche di quanto era stato occultato al fisco.
I casi in cui non sia possibile determinare l’aliquota media, con la conseguente applicazione di quella ordinaria in sede di integrazione, non dovrebbero esistere, se non per eventuali singoli periodi di imposta in cui non si erano manifestate operazioni attive, e che invece si intende dichiarare adesso.