Per la residenza fiscale le relazioni economiche prevalgono su quelle familiari
Per l’individuazione del centro degli interessi vitali, criterio di determinazione della residenza fiscale, va data prevalenza alle relazioni economiche rispetto a quelle affettive-familiari. È il principio ricavabile dalla lettura dell’ordinanza della Cassazione 32992/2018 depositata lo scorso 20 dicembre ( clicca qui per consultarla ).
La Cassazione ha, in particolare, rigettato il ricorso per cassazione proposto dall’agenzia delle Entrate contro la sentenza 45/02/2011 con cui la Ctr dell’Emilia Romagna aveva affermato la residenza convenzionale in Romania di un cittadino (probabilmente rumeno) che era, da un lato, iscritto - insieme a moglie e figlia minore - nelle liste anagrafiche della popolazione residente in Italia (presunzione assoluta di residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del Tuir), nonché ivi titolare di abitazione e di un consistente conto corrente e che, dall’altro lato, rivestiva il ruolo di amministratore unico di una società operativa con sede in Romania, di titolarità dell’altro figlio.
Il giudice di secondo grado, dopo aver affermato la doppia residenza del contribuente sia in Italia sia in Romania, ha risolto il conflitto, invocando la seconda tie breaker rule prevista dall’articolo 4 del modello Ocse (ritenendo, con tutta probabilità non decisiva la prima tie breaker rule rappresentata dal possesso, in uno degli Stati, di un’abitazione permanente), individuando il centro degli interessi vitali del contribuente in Romania sulla base delle relazioni economiche intrattenute dallo stesso con detto paese, ritenute prevalenti rispetto a quelle affettive/familiari sussistenti in Italia.
La Cassazione ha condiviso l’operato del giudice di secondo grado evidenziando che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale.
La decisione si inserisce, a pieno titolo, nel noto dibattito inerente il rapporto di prevalenza, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale, tra gli interessi economici/patrimoniali e quelli personali/affettivi.
Sotto questo aspetto, va precisato che sebbene in passato l’orientamento maggioritario della Suprema corte riconoscesse prevalenza ai rapporti personali affettivi, con la sentenza 6501 del 31 marzo 2015, i giudici di legittimità hanno invertito la rotta, enfatizzando il centro degli interessi economici quale criterio per individuare la residenza fiscale dell’individuo. Con la successiva sentenza 12311 del 15 giugno 2016, la Cassazione sembrava però tornata all’impostazione precedente, precisando che ai fini della determinazione del luogo della residenza normale si riconosce la preminenza dei legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato.
Con la decisione in rassegna, la Cassazione riafferma la prevalenza degli interessi economici in linea con la sentenza 6501/2015 - che peraltro richiama espressamente - qualificando come attualmente recessivo l’orientamento opposto.
Nonostante la Suprema Corte non affronti espressamente l’argomento, la sentenza consente inoltre di evidenziare la centralità, ai fini dell’individuazione della residenza fiscale, dello strumento - molto spesso trascurato - delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Nel caso esaminato, le regole di determinazione della residenza fiscale previste nelle Convenzioni, appositamente invocate in sede difensiva, hanno infatti consentito al contribuente di evitare l’assoggettamento a imposizione in Italia contestato dall’agenzia delle Entrate sulla base – principalmente - del requisito meramente formalistico rappresentato dalla iscrizione delle liste anagrafiche italiane (requisito che, come noto, costituisce presunzione assoluta di residenza in Italia).
Cassazione, ordinanza 32992/2018