Imposte

Percorso a ostacoli per l’ammortamento dei beni immateriali con Dta convertibili

di Andrea Basi e Riccardo Michelutti

Pare non esserci pace per i contribuenti interessati alla rimodulazione delle quote di ammortamento dei beni immateriali prevista dall’articolo 1, comma 1079, della legge di Bilancio 2019. Infatti, il comma 714 dell’articolo 1 della legge di Bilancio approvata definitivamente dal Parlamento impone di rinviare al 2025 e ai quattro periodi d’imposta successivi l’ammortamento relativo al 2019 determinato con le aliquote previste dal predetto comma 1079, aggiungendo così ulteriori complicazioni ad una norma già di difficile applicazione.

La disciplina prevista dal comma 1079 ha previsto che le quote di ammortamento relative ai beni immateriali che, alla data del 31 dicembre 2014 avevano dato luogo a Dta convertibili in crediti d’imposta in base all’articolo 2, commi 55 e successivi, del Dl 225/2010, siano soggette a specifiche aliquote d’ammortamento fiscale in deroga a quelle ordinariamente previste dall’articolo 103 del Tuir.

Posto che la norma fa riferimento alle quote di ammortamento «che hanno dato luogo all’iscrizione» di Dta convertibili, e non già a quelle che “in linea teorica” avrebbero comportato l’iscrizione stessa, gli ammortamenti oggetto di riparametrazione dovrebbero individuarsi assumendo le relative Dta convertibili effettivamente iscritte, al netto dei reversal verificatisi negli esercizi successivi fino a quello in corso al 31 dicembre 2017. Inoltre, in virtù del fatto che il Dl 83/2015 ha previsto che le Dta originatesi per effetto di variazioni temporanee rilevate post 31 dicembre 2014 non possono essere convertite in crediti d’imposta, è necessario sterilizzare le eventuali ulteriori Dta iscritte post 2014.
Sotto un profilo sistematico, occorre rilevare che la norma - ove interpretata in base al suo tenore letterale - dovrebbe trarre il proprio presupposto dal comportamento contabile tenuto in passato dal contribuente (iscrizione o meno delle Dta in bilancio) non già in base ad un obbligo di legge ma nell’esercizio di una discrezionalità tecnica.

Tale interpretazione conduce all’iniquo esito di penalizzare quei contribuenti che hanno iscritto Dta poi non convertite, rispetto a coloro che non hanno iscritto Dta o che, pur avendole iscritte, hanno anche proceduto alla conversione in crediti d’imposta (si veda la circolare Assonime 15/2019).

Una diversa interpretazione, volta a risolvere la suddetta discriminazione mediante il riferimento alle Dta teoricamente iscrivibili nel bilancio al 31 dicembre 2014 (come sembra emergere dalla risposta a interpello menzionata su Il Sole 24 Ore del 21 dicembre), richiede tuttavia una riformulazione della norma.

Peraltro, nel suo attuale tenore letterale la concreta applicazione della norma richiede notevoli sforzi interpretativi da parte del contribuente. Uno dei primi ostacoli da superare consiste nella corretta individuazione dei disallineamenti da assoggettare alla riparametrazione delle aliquote di ammortamento per quelle società che hanno rilevato in bilancio un valore delle Dta compensato con eventuali Dtl. La circolare 37/E del 28 settembre 2012, a commento della disciplina della trasformazione delle Dta in crediti d’imposta di cui al Dl 225/2010, aveva precisato che, qualora l’importo delle Dta rilevate in bilancio fosse il risultato netto di una compensazione con le Dtl, la conversione delle Dta sarebbe dovuta avvenire tenendo conto del valore netto; si determinava così il maleficio di permettere la conversione in credito d’imposta di un minore ammontare di Dta, anche in questo caso come conseguenza di un comportamento contabile.

Poiché la riparametrazione dovrebbe interessare i disallineamenti afferenti a ciascun bene immateriale, il netting tra Dta e Dtl non dovrebbe applicarsi per determinare i suddetti disallineamenti, pena l’impossibilità di sterilizzare gli incrementi di Dta compresi nel triennio 2015-2017. Tuttavia tale modus operandi implica la riparametrazione di ammortamenti cui corrisponderebbe un ammontare più elevato di Dta, rispetto a quelle effettivamente iscritte in bilancio al 31 dicembre 2014 e convertibili in crediti di imposta.

Nuovamente, quindi, il tenore letterale della norma impone che, anche ai fini della determinazione degli ammortamenti da riparametrare, si debba considerare l’importo corrispondente al valore netto delle Dta (qualora queste siano rilevate in bilancio al netto delle Dtl).
Posto quanto sopra, in concreto si possono osservare tre fattispecie:
1) beni per i quali si è verificato solo un reversal di Dta nel triennio 2015-2017;
2) beni per i quali il reversal di Dta ha avuto inizio a partire dal 31 dicembre 2017;
3) beni per i quali nel triennio 2015-2017 si è realizzato un incremento e un successivo reversal di Dta.

La prima fattispecie risulta di semplice gestione, in quanto il residuo netto ammortizzabile oggetto di riparametrazione si individua convertendo lo stock di Dta al 31 dicembre 2014 al netto dei reversal.

Il secondo caso è invece più complesso: al fine di individuare i disallineamenti da ammortizzare è necessario sterilizzare i disallineamenti formatisi post 2014, che hanno dato luogo alla formazione di nuove Dta non convertibili in crediti di imposta, i quali dovrebbero essere dedotti secondo le aliquote di ammortamento fiscale ordinariamente previste dall’articolo 103 del Tuir. Viene quindi a crearsi un doppio binario, che impone al contribuente di imputare il riassorbimento dei disallineamenti in parte a quelli formatisi fino al 31 dicembre 2014 e in parte a quelli originatisi nei periodi d’imposta successivi.

Ancor più complessa è la terza ipotesi, dovendosi:
•individuare lo stock di Dta al 31 dicembre 2014,
•sterilizzare gli incrementi originatisi per effetto dei disallineamenti nel triennio 2015-2017,
•e dedurre i reversal occorsi nel medesimo triennio. In tal caso la difficoltà consiste nell’individuazione dello stock di Dta cui imputare i reversal, se a quello già iscritto in bilancio al 31 dicembre 2014 o a quello relativo al periodo d’imposta immediatamente precedente a quello in cui si realizzano i reversal.

La prima strada percorribile potrebbe essere quella di adottare un criterio proporzionale, imputando i reversal di Dta in proporzione al rapporto tra lo stock di Dta al 31 dicembre 2014 e il totale delle Dta nel periodo antecedente l’inizio dei reversal. Tale modus operandi trova conforto nelle Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate nn. 232/2003 e 127/2006 che, con riferimento all’utilizzo di fondi di natura ibrida costituiti da accantonamenti in parte dedotti e in parte tassati, hanno suggerito l’utilizzo di un criterio d’imputazione proporzionale in difetto di una correlazione analitica.

Tuttavia, anche alla luce dei sopra richiamati profili discriminatori insiti nella norma ove interpretata secondo il suo tenore letterale, sarebbe auspicabile che venisse consentita l’adozione di un criterio Fifo per l’imputazione dei reversal di Dta verificatisi nel triennio 2015-2017. L’utilizzo del criterio Fifo permetterebbe infatti di ridurre il valore dei disallineamenti da ammortizzare secondo le aliquote fiscali dettate dal comma 1079.
Il criterio Fifo è stato richiamato dall’agenzia delle Entrate nelle circolari 37/E/2012 e 17/E/2014 con riguardo alla sterilizzazione delle deduzioni extracontabili successive alla conversione delle Dta in crediti di imposta, affermando che «in caso di trasformazione parziale dell’ammontare di Dta trasformabili, [dovessero] essere annullate prioritariamente le variazioni in diminuzione a scadenza più prossima per un ammontare a cui corrisponde un’imposta pari alle Dta trasformate».

Pur trattandosi in questo caso di un criterio a favore del contribuente, il suo utilizzo troverebbe quindi una coerenza con la situazione simmetrica della sterilizzazione delle deduzioni extracontabili.

In ogni caso, il criterio Fifo appare l’unico accettabile ove si assuma come base di partenza le Dta teoricamente iscrivibili nel bilancio al 31 dicembre 2014 e non già quelle effettivamente iscritte.

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