Imposte

Permute, rimborsi e detenzione: tre punti da chiarire per i cripto-asset

La legge di Bilancio include tra i redditi diversi plusvalenze e altri proventi. Va definito quali operazioni sono neutre: possibile ragionare su due «aree»

di Stefano Capaccioli e Dario Deotto

Se, da un lato, è da considerare positivamente il fatto che sia regolata – sotto il profilo tributario – la materia delle “cripto-attività”, dall’altro non si può non rilevare che la legge di Bilancio 2023 presta il fianco a troppi interrogativi.

Per le persone fisiche, la nuova lettera c-sexies) dell’articolo 67 del Tuir introduce una nuova fattispecie che include nei redditi diversi le plusvalenze e gli altri proventi da criptoattività; quest’ultima viene definita con una nozione ampia che comprende la quasi totalità dei token, tra cui, ad esempio, gli Nft (esclusi invece dal regolamento Mica, si veda oltre). In base alla nuova norma, i fatti generatori di imposta possono provenire da quattro fonti: 1. rimborso; 2. cessione a titolo oneroso; 3. permuta; 4. detenzione. Si tratta di fattispecie che dovranno trovare adeguata interpretazione, se non – meglio – una migliore regolazione. Ad esempio, suscita molti dubbi la previsione che stabilisce che non sono rilevanti fiscalmente le permute tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni. Le criptoattività, infatti, non hanno dei contorni netti: le classificazioni concettuali presenti (security, payment e utility token) sono al più finalizzate al perimetro della regolazione finanziaria, peraltro senza alcun supporto normativo.

Comunque, la proposta di regolamento Mica individua tre principali categorie di cripto-asset:
1. gli ART (token collegati ad attività);
2. gli EMT (token di moneta elettronica);
3. gli altri cripto-asset, categoria residuale della quale fanno parte anche gli utility token.
Risultano invece esclusi dal perimetro prefigurato dalla proposta i security token che corrispondono a uno strumento finanziario Mifid, così come ne sono esclusi gli Nft e la DeFi.

A questo punto, nell’ottica della previsione dell’articolo 67, lettera c-sexies) si tratta di individuare le macro categorie al cui interno le «permute» si devono considerare non rilevanti. Nei documenti accompagnatori del Ddl di Bilancio è stato riportato che le operazioni crypto to crypto relative a valute virtuali sono irrilevanti mentre determina materia tassabile l’acquisto di un Nft con una crypto currency, come pure rileva la conversione di valuta virtuale in valuta fiat. Con la conseguenza che si potrebbe giungere alla conclusione che nella definizione prevista dalla lettera c-sexies) il legislatore abbia voluto individuare due macro-aree: 1. rappresentazioni digitali di valore; 2. rappresentazioni digitali di diritti; così che all’interno di queste due aree le operazioni effettuate (forse un po’ disinvoltamente definite “permute”) risultano neutre fiscalmente. Tale interpretazione potrebbe essere coerente con la risoluzione del Parlamento Europeo del 4 ottobre 2022, ove si invita a individuare fattispecie impositive che non portino alla moltiplicazione di fatti generatori di imposta.

Quanto alla rilevanza del «rimborso», si tratterà, salvo casi particolari, di vicende riferite ai vari fallimenti/truffe avvenute.

Molte perplessità genera anche la fattispecie reddituale della «detenzione» di cripto-attività, per la quale, in base al nuovo articolo 68, comma 9-bis Tuir, rilevano eventuali «proventi», dai quali non sembrano potersi scomputare le minusvalenze. Qui si deve ritenere che si tratti di una norma di chiusura tesa ad attrarre anche fattispecie allo stato non conosciute per la continua evoluzione tecnologica (si pensi a Airdrop, DeFi, Faucet, Play to earn, eccetera).

Occorre poi rilevare che ai fini della determinazione di eventuali plusvalenze relative al rimborso, permuta o cessione di criptoattività, il nuovo articolo 68, comma 9-bis, richiede che il costo o valore di acquisto sia documentato con elementi «certi e precisi» a cura del contribuente, altrimenti il costo è pari a zero. Il fatto è che il concetto di certezza e precisione non risulta adatto alle criptoattività stante la struttura del sistema e le due modalità di transazione: on-chain, vale a dire che avviene nella blockchain in maniera decentralizzata, senza quindi la possibilità di avere alcuna documentazione; off-chain, eseguita di regola in una piattaforma ovvero con un intermediario che sovente non rilascia rendiconti ufficiali.

GLI ALTRI DUBBI

I profili d’incertezza su bollo e Ivafe dopo la manovra

Imposta di bollo
L’imposta, pari al 2 per mille, viene estesa anche alle comunicazioni «relative a cripto-attività». L’elemento impositivo consiste nella comunicazione periodica alla clientela da parte di un intermediario (finanziario e non) all’interno di un rapporto contrattuale sia che debba inviare una rendicontazione o meno (in tal caso viene considerata presunta). L’imposta di bollo, per come è scritta la norma della legge di Bilancio, sembra avere una corrispondenza con l’Ivafe.

Ivafe
La legge 197/2022 assoggetta a Ivafe le cripto-attività con la locuzione «in luogo dell’imposta di bollo di cui all’articolo 13 della parte prima della tariffa», per cui il presupposto impositivo sembra nascere per situazioni analoghe all’imposta di bollo che origina da una comunicazione periodica alla clientela. Da tale previsione normativa sembra non sussistere l’obbligo per i detentori di criptoattività tramite non custodial wallet.

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