Imposte

Pex, requisito ridotto anche in uscita

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di Filippo Maisto e Cesare Silvani

Uno dei requisiti normativamente richiesti affinché si possa applicare il regime di participation exemption (pex) alle plusvalenze su partecipazioni è che la società partecipata oggetto di realizzo non sia residente in uno Stato a fiscalità privilegiata secondo i criteri oggi dettati dall’articolo 47-bis Tuir. Codificando una posizione già emersa nella prassi dell’agenzia delle Entrate (circolare 7/E del 2013), il Dlgs 142/2018 (decreto Atad) ha modificato l’articolo 87 Tuir, prevedendo che tale condizione deve sussistere ininterrottamente sin dal primo periodo di possesso della partecipazione. Tuttavia, con finalità semplificatorie è stato disposto al comma 2 dell’articolo 87 Tuir che, qualora la partecipazione sia «oggetto di realizzo con controparti non appartenenti allo stesso gruppo del dante causa», è sufficiente che il requisito della non localizzazione in un paradiso fiscale sia integrato ininterrottamente nel più breve orizzonte temporale dei cinque periodi d’imposta anteriori al realizzo (analogo termine è previsto dall’art, 87, comma 1, lettera c) Tuir per la dimostrazione dell’esimente di cui all’articolo 47-bis, comma 2, lettera b), Tuir).

La possibilità di limitare il test della residenza della partecipata all’ultimo quinquennio è però di dubbia applicazione quando la partecipazione è oggetto di realizzo solo presunto in sede di imposizione in uscita ai sensi dell’articolo 166 Tuir (exit tax). Si pensi, ad esempio, al caso di una società holding italiana che trasferisce la propria residenza all’estero oppure è fusa per incorporazione in una società non residente, senza che le partecipazioni dalla stessa detenute rimangano effettivamente connesse ad una stabile organizzazione in Italia; il medesimo tema si può porre se una partecipazione connessa ad una stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente è trasferita alla sede centrale o ad altra stabile organizzazione situata all’estero.

In tali situazioni non si configura formalmente un realizzo con controparti terze, come richiesto letteralmente dall’articolo 87, comma 2, Tuir al fine di poter accedere al più breve periodo di osservazione quinquennale (ad eccezione di fusioni o scissioni “in uscita” a favore di società estere aventi causa non appartenenti al medesimo gruppo della società italiana fusa o scissa). In talune fattispecie di exit regolate dall’articolo 166 del Tuir manca del tutto una controparte con cui si verifica il realizzo della partecipazione, poiché l’operazione si esaurisce nella sfera di un unico soggetto giuridico (si pensi al trasferimento di sede in continuità giuridica).

Ciò nonostante, vi sono argomenti per ritenere comunque applicabile la regola del quinquennio anche nei descritti casi di tassazione in uscita. In tali ipotesi, infatti, l’articolo 166, commi 3 e 4, del Tuir prevede che il realizzo avvenga a valore di mercato e che quest’ultimo sia determinato con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti in condizioni di libera concorrenza. Benché possa obiettarsi che il criterio del valore di realizzo at arm’s length valga in realtà altresì per ordinarie operazioni di compravendita infragruppo con controparti non residenti (articolo 110, comma 7, del Tuir) che sono senza dubbio escluse dalla regola dei cinque anni ai fini pex, si osserva che la tesi più favorevole ai contribuenti in caso di exit tax appare preferibile in ottica comunitaria, posto che l’articolo 5, paragrafo 6, della direttiva Atad richiede di valorizzare l’operazione alla stregua di una transazione diretta tra venditori e compratori indipendenti; sembrerebbe, pertanto, logico – al fine di evitare discriminazioni (quanto meno per i trasferimenti verso altri Stati Ue o See) – utilizzare anche le stesse regole pex che si adotterebbero in una transazione diretta tra controparti indipendenti. Per coerenza il periodo di osservazione dovrebbe essere ridotto anche nel caso di partecipazioni minusvalenti, impedendo così la deduzione di minusvalenze realizzate in sede di exit su società estere che falliscono il test di residenza ai fini pex solo in periodi d’imposta anteriori al quinquennio.

L’interpretazione avanzata potrebbe a maggior ragione giustificarsi in quelle particolari fattispecie in cui la disciplina societaria impone la valorizzazione degli attivi della società italiana da parte di soggetti indipendenti, come in ipotesi di una fusione transfrontaliera che, pur se attuata all’interno dello stesso gruppo, coinvolga società in cui sono presenti soci di minoranza e richieda, dunque, la fissazione di un rapporto di cambio congruo.

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