Adempimenti

Plusvalenza da 110% senza tassazione

La prassi dettata per le altre detrazioni fa propendere per l’irrilevanza del «differenziale» in caso di vendita entro cinque anni dall’acquisto

di Giorgio Gavelli e Gian Paolo Tosoni

Tra i quesiti che spesso vengono posti in tema di superbonus 110%, c’è quello (assai delicato) sull’effetto che le detrazioni (e l’opzione con la quale esse possono essere monetizzate tramite cessione del credito o sconto in fattura) possono avere nel calcolo della plusvalenza, in sede di cessione dell’immobile, ovviamente nel caso in cui tale cessione sia fiscalmente rilevante.

L’esempio che in genere viene fatto è il seguente: il signor Rossi acquista un fabbricato per 100mila euro, effettua lavori agevolati per 50mila euro, su cui non paga nulla per effetto dello sconto in fattura (ovvero a fronte dei quali incassa 52mila euro dalla banca per la cessione del credito di nominali 55mila). Successivamente, entro i cinque anni dall’acquisto e senza averlo adibito ad abitazione principale propria o di un famigliare, egli cede l’immobile a 150mila euro. C’è una plusvalenza imponibile?

A caldo, la risposta sembra semplice: i costi sostenuti con l’agevolazione dell’articolo 119 del decreto Rilancio, non essendo rimasti a carico del nostro contribuente (grazie allo sconto riconosciuto dal fornitore ovvero in quanto ristorato dalla cessione del relativo credito alla banca), non possono essere considerati, per cui la cessione determina una plusvalenza imponibile di 50mila euro. Ma le cose stanno veramente così?

A nostro avviso non si possono trattare diversamente le varie opzioni concesse dal legislatore. Detrazione, cessione del credito o sconto in fattura sono tre facce della stessa medaglia: il ristorno che il nostro contribuente può avere oggi dal fornitore o dalla banca è della stessa natura di quello che, optando per la detrazione, potrebbe ricevere dall’erario tramite il recupero fiscale.

E qui il discorso si complica. Non risulta sia stato sostenuto che i lavori su cui si è ottenuto in passato il bonus 36%-50% (ristrutturazione) ovvero il 50-65% (ecobonus) o addirittura percentuali maggiori (sismabonus) siano costi da considerare solo parzialmente in sede di calcolo plusvalenza. Né che il contribuente che fruisce del bonus «ristrutturazione acquisti» di cui al comma 3 dell’articolo 16-bis non possa considerare come pagata la quota di prezzo su cui ottiene il bonus fiscale.

Peraltro, il requisito base della detrazione è che i costi siano rimasti a carico del contribuente e qui si concluderebbe che, essendo stati detratti, non sarebbero più a carico. Del resto, non risulta neppure che alle imprese che portano in detrazione i costi sostenuti su interventi ecobonus e sismabonus (in misura ancora maggiore dopo la risoluzione n. 34/E/2020) sia stato impedito di dedurre i medesimi costi sotto forma di ammortamenti. Anzi, il cumulo tra deduzione dei costi e detrazione è stato espressamente previsto dall’agenzia delle Entrate nei confronti dei lavoratori autonomi (circolare n. 20/E/2011), così come non sono stati individuati ostacoli a cumulare il credito d’imposta per riqualificazione alberghi e (addirittura) il superammortamento (34527767risoluzione n. 118/E/2017).

Sotto l’aspetto del reddito d’impresa tuttavia, il recente documento (in bozza) emanato dall’Oic in tema di modalità di contabilizzazione dei bonus fiscali (peraltro su richiesta di parere proveniente proprio dalle Entrate) confonde le idee, perché assimila in tutti i casi il bonus (sia se mantenuto sotto forma di detrazione sia se monetizzato sotto forma di cessione del credito o sconto in fattura) ad un contributo in conto impianti, il quale, portato a riduzione diretta del costo sostenuto, rende impossibile (almeno contabilmente) operare l’ammortamento. Per recuperarlo fiscalmente si dovrebbe procedere con una variazione in diminuzione in dichiarazione, sperando che non venga parallelamente richiesta la variazione in aumento della quota di contributo corrispondente alla detrazione.

Il tema, quindi, è veramente delicato. Tornando alla plusvalenza del contribuente privato, l’idea che il vantaggio fiscale riconosciuto in occasione dei lavori debba essere annullato (restituito) se il bene viene ceduto con rilevanza fiscale non sembra coerente con le finalità con cui le detrazioni sono state introdotte.

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