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Professionisti e pianificazione fiscale aggressiva, ora non è tempo di «Dac 6»: attuazione da rinviare

La complessità di tale tax compliance è destinata ad investire tutte le categorie professionali

di Giuseppe Marino

Improvvisamente l’ultimo stadio del progetto sugli strumenti di contrasto alle dinamiche internazionali ed europee di pianificazione fiscale aggressiva, al quale sia l’Ocse che la Ue hanno dedicato importanti energie, sembra fuori tempo e fuori luogo, mentre è probabilmente stato sempre fuori misura. Ci si riferisce alla sesta modifica alla direttiva Ue 2011/16, sulla cooperazione amministrativa in materia tributaria, contenuta nella direttiva Ue 25 maggio 2018, n. 2018/822 (Dac 6), che dovrà essere recepita entro il prossimo 1 luglio 2020 e di cui da mesi circola lo schema di decreto di attuazione a seguito della legge di delegazione europea n. 117/2019.

Si tratta di uno degli strumenti del cosiddetto pacchetto trasparenza lanciato dalla Commissione Europea all’esito dei lavori svolti in sede Ocse/G20 sul progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS). La Dac 6 insiste ancora sulla procedura di comunicazione e scambio automatico di informazioni e in coerenza con il Rapporto finale dell’Action 12 relativo alle Mandatory Discolure Rules, impone - a qualunque intermediario professionale (cioè persona registrata presso un’associazione professionale di servizi in ambito legale, fiscale o di consulenza in uno Stato membro) che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione ai fini di attuazione o gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero nell’interesse di un contribuente pertinente - di segnalarlo alla propria Amministrazione finanziaria per lo scambio automatico in una fase precoce, in modo da consentirle di intervenire in flagranza della sua attuazione.

In particolare, un meccanismo transfrontaliero (arrangement) è uno schema in cui non tutti i partecipanti sono residenti ai fini fiscali nella stessa giurisdizione (oppure, al contrario, alcuni sono contemporaneamente residenti in più di un ordinamento), e che presenta degli elementi distintivi (hallmarks) di potenziale rischio di elusione fiscale, in virtù dei quali è possibile stabilire, tenuto conto di tutti i fatti e le circostanze pertinenti, che il vantaggio o uno dei principali vantaggi che si può ragionevolmente attendere è di natura fiscale.

Ottenendo le informazioni prima che tali schemi siano effettivamente attuati, le Amministrazioni finanziarie interessate avranno l’opportunità di esaminare le operazioni oggetto di reporting e di decidere prontamente se esse siano o meno accettabili, proponendo, eventualmente, disposizioni legislative o regolamentari di contrasto o adottando documenti interpretativi che indirizzino gli uffici in sede di verifica e controllo.

Insomma, una sorta di accertamento predittivo in stile Minority Report che nelle intenzioni del legislatore europeo dovrebbe contribuire in modo efficace agli sforzi per la creazione di un ambiente di tassazione equa nel mercato interno, con buona pace dei malumori oggi esistenti tra Italia e Olanda.

La complessità di tale tax compliance è destinata ad investire tutte le categorie professionali che dovessero trovarsi ad esaminare uno dei predetti schemi, e si trasforma in perplessità alla lettura della bozza di decreto di attuazione in cui si legge, tra l’altro, che l’esonero di ultima istanza dall’obbligo di segnalazione per il professionista è quando dalle informazioni che dovrebbe trasmettere all'Agenzia possa emergere una sua responsabilità penale.

La perplessità si trasforma in vero e proprio smarrimento alla lettura della soluzione proposta, e cioè che il professionista informi del fatto che non vuole andare in galera ogni altro intermediario coinvolto, o, in sua assenza, direttamente il contribuente, il quale può decidere di andare lui in galera, trasmettendo la segnalazione di reato all’Agenzia sulla operazione che lo riguarda, oppure, comprensibilmente, tacere. Il tutto con buona pace della propria corporate tax governance che con la recente legge n. 157/2019 si è arricchita della gestione dei rischi di quei misfatti tributari che allungano l’elenco dei reati di cui al Dlgs n. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società ed enti.

Un esempio fra tutti, quello di trovarsi in azienda un tax whistleblower, cui oggi l’ordinamento riconosce piena dignità giuridica grazie alla legge n. 179/2017 che estende la tutela del segnalante al settore privato proprio stabilendo i requisiti che i modelli organizzativi di cui al Dlgs n. 231/2001, devono avere per veicolare le segnalazioni di whistleblowing sui reati oggetto di prevenzione.

In un’epoca di libertà individuali fortemente compresse per via del coronavirus, con una serie di priorità da ripensare sul fronte dell’economia e del benessere della società civile, questo regime di segnalazioni in prevenzione di potenziali elusioni fiscali, aggiunge vincoli di cui si farebbe volentieri a meno, che sviluppano forte il timore della violazione del principio di certezza dei rapporti Fisco contribuente, oggi già ridisegnati dalla recente raccomandazione del Forum on Tax Administration Ocse su come gestire il sistema tributario nell'emergenza Covid, e del principio di proporzionalità tra le informazioni di cui le Amministrazioni finanziarie già dispongono, quelle di cui vorrebbero disporre in predizione da tutti i soggetti passivi del rapporto tributario, e, nel caso le segnalazioni non arrivassero, le relative sanzioni indicate come effettive e dissuasive.

Insomma, tra i pacchetti in discussione per l’emergenza coronavirus a livello domestico ed europeo, sarebbe opportuno inserire anche la sospensione dell'attuazione della Dac 6, rinviandola a tempi migliori e maggiori riflessioni.