Controlli e liti

Indagini finanziarie, prova contraria anche con documentazione extrabancaria

La Ctr Lazio: valide anche le attestazioni di prestiti a familiari e di acquisto o vendita

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di Alessandro Borgoglio

La giustificazione alle movimentazioni bancarie contestate dal Fisco in sede di indagini finanziarie può essere validamente fornita anche mediante documentazione diversa da quella strettamente bancaria tesa a dimostrare i pagamenti da o verso terzi. È questa l’importante conclusione a cui è giunta la Ctr del Lazio, con la sentenza 1300/2020 contenuta nel Massimario 2019.

In base all’articolo 32, comma 1, numero 2), del Dpr 600/1973 e, ai fini Iva, all’articolo 51, comma 2, numero 2), del Dpr 633/1972, gli Uffici possono accertare i contribuenti, ponendo a base delle rettifiche i dati e gli elementi relativi ai rapporti finanziari, dei quali i soggetti controllati non dimostrino di averne tenuto conto nella determinazione del reddito soggetto ad imposta e che non si riferiscano ad operazioni imponibili; anche i prelevamenti sono posti come ricavi qualora i contribuenti non ne indichino il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tali norme prevedono una presunzione legale relativa a favore del Fisco, per cui quest’ultimo è esonerato da qualsivoglia ulteriore dimostrazione, mentre sul contribuente è ribaltato l’onere della prova, dovendo dimostrare l’estraneità di dette operazioni finanziarie alla formazione del reddito e ad operazioni imponibili poste in essere nell'ambito dell’attività d’impresa o professionale (ex pluris, Cass. 14806/2015, 16896/2014, 22540/2012).

Al fine di superare la presunzione legale relativa, non è sufficiente che il contribuente fornisca una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessaria una prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (ex pluris, Cass. 17156/2018, 20408/2018, 27075/2017, 3447/2017).

Tale prova contraria, che è richiesta anche al contribuente in contabilità semplificata (cfr. Cass. 1560/2015, 11102/2017), può essere fornita, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, che è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. 12830/2017, 24699/2016).

Non è quindi sufficiente che il contribuente dimostri genericamente di essere stato vittima di usura e di aver fatto ricorso al fondo antiracket (Cass. 7371/2020), così come non è sufficiente che il contribuente dimostri genericamente di avere fatto affluire su di un proprio conto, nell’esercizio della propria attività, somme affidategli da terzi in amministrazione (Cass. 3447/2017).

Tuttavia, con la sentenza odierna è stato stabilito che la natura di prova circostanziata e specifica richiesta dalla Cassazione non è necessariamente ancorata alla documentazione bancaria, potendosi ritenere la sussistenza di tali caratteristiche anche in relazione a documentazione di altro tipo: nel caso di specie, quindi, doveva ritenersi valida la giustificazione prodotta con documenti relativi a prestiti personali concessi ai famigliari e a terzi, nonché con documentazione di vendita e di acquisto.

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