Controlli e liti

Prova diretta o indiziaria per i costi nell’imponibile

L’indicazione arriva dalla terza sezione penale della Cassazione

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di Antonio Iorio

Ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa penalmente rilevante è necessario attingere dalle regole della normativa fiscale, ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale. Ne consegue che i costi concorrono certamente alla determinazione dell’imponibile purché ne sussista la certezza o anche solo il ragionevole dubbio sulla loro esistenza.

A ribadire questo importante principio è la Cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza 5577/2023, depositata il 9 febbraio, intervenuta anche in tema di amministratore di fatto, nella specie escludendo che tale ruolo possa attribuirsi al socio di una società di persona a ristretta base familiare solo perché deteneva un pc contenente la contabilità anche parallella dell’impresa.

La vicenda concerne, in estrema sintesi, la contestazione di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e dell’Iva di una Snc (articolo 5 del Dlgs 74/2000) nei confronti di madre e figlio, la prima amministratore di diritto della società, il secondo amministratore di fatto.

Dopo la condanna nei due gradi di merito, presentavano ricorso per cassazione lamentando, tra l’altro, il mancato accertamento della soglia di punibilità in quanto non erano stati considerati i costi deducibili e l’Iva detraibile, Era anche eccepita la non configurabilità in concreto del ruolo di amministratore di fatto.

La Cassazione, dopo aver illustrato le vigenti regole fiscali sulla deduzione dei costi e la detrazione dell’Iva, ha evidenziato che il giudice penale non è vincolato ai risultati degli accertamenti tributari effettuati, né ai criteri di giudizio previsti dalla legislazione fiscale e civilistica, dovendo invece ricostruire in modo autonomo e con le regole proprie del processo penale i fatti che danno luogo a responsabilità penale. Ciò non significa che in sede penale si possa prescindere dalle specifiche regole della legislazione fiscale sulla determinazione dell’imponibile: in sostanza è differente la regola di giudizio, ma non la regola applicabile.

La diversa regola di giudizio può condizionare l’ambito di applicabilità della norma tributaria, ma impone comunque al giudice penale di tenerne conto.

Di conseguenza - anche ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa penale - è necessario attingere alle regole imposte dalla normativa fiscale, ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale, per cui i costi concorrono alla determinazione dell’imponibile purché ne sussista la certezza o anche solo il ragionevole dubbio della loro esistenza. È quindi necessario che di tali costi (non contabilizzati) sussista la prova diretta o indiziaria la cui allegazione - se il pm e il giudice non ne hanno tenuto conto - incombe sull’imputato.

Da qui il rigetto dello specifico motivo di ricorso.

La sentenza ha invece accolto le doglianze in merito all’asserito ruolo di amministratore di fatto di uno degli imputati (il figlio), perché custodiva la contabilità parallela in un pc a suo uso esclusivo. Sul punto la Corte, diversamente dalla decisione di secondo grado, ha ritenuto necessari degli atti gestori per la configurazione del ruolo di amministratore di fatto. La tenuta della contabilità (anche parallela), nonostante il contesto di ristretta base azionaria, può al più provare la consapevolezza delle condizioni di totale illegalità della società, ma non integra, di per sé, un concorso fattivo nella gestione della società.

In altre parole, si sarebbe dovuto dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che tenendo la contabilità il figlio avesse agevolato, favorito o istigato la commissione del reato omissivo.

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