Quel rischio incompatibilità tra studi di settore e rettifica Iva
Dopo lunghi dibattiti e discussioni nazionali e internazionali, gli studi di settore affrontano l’esame della Corte di Giustizia Ue per verificare se gli stessi possano considerarsi compatibili con l’ordinamento comunitario nel momento in cui consentono all’amministrazione finanziaria di recuperare l’Iva non sulla base delle effettive operazioni realizzate, ma sulla base di una rideterminazione statistica- matematica.
In effetti, a favore dell’illegittimità militano non solo i principi fondamentali che informano il sistema Iva europeo e nazionale che impongono che la base imponibile Iva sia determinata in modo oggettivo e effettivo sulle singole transazioni realizzate dall’operatore economico, ma anche numerose pronunce della stessa Corte di Giustizia che ribadiscono che l’Iva si calcola, sempre e comunque, sulla base del corrispettivo realmente ricevuto, non già sulla base di un valore stimato secondo criteri obiettivi (si veda tra le altre la sentenza Fillibeck causa C-258/95 del 16 ottobre 1997).
La questione giunge ora alla Corte di Giustizia per un rinvio pregiudiziale della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria (causa Fontana - C-648/16), ma è stata già affrontata dalla Commissione europea nel lontano 2011. In particolare, le autorità di Bruxelles sono state attivate sul tema da una denuncia del 15 aprile 2011 predisposta dalla commissione per l’esame della compatibilità comunitaria di leggi e prassi Italiane costituita all’interno dell’Aidc di Milano. La commissione dell’Aidc con la predetta denuncia chiariva in dettaglio i profili di incompatibilità della norma.
All’epoca l’ufficio della direzione generale Fiscalità e Unione doganale della Commissione europea preposto alle procedure di infrazioni non condivise a pieno il documento, volendo valutare sul campo gli effetti della specifica normativa. Ora a distanza di oltre sei anni la questione si ripropone, con un quadro normativo e fattuale notevolmente cambiato e con una ampia esperienza accertativa dell’amministrazione finanziaria.
Il punto di partenza delle considerazioni che dovranno orientare la decisione della Corte di Giustizia è che gli studi di settore per natura appartengono a quella categoria di accertamenti standardizzati in cui il differenziale tra il reddito dichiarato e quello atteso si basa su elementi statistico-matematici elaborati sulla base di campioni e cluster predefiniti diretti a determinare un ammontare annuo di ricavi conseguibili in una situazione di normalità economica. In particolare, gli studi di settore definiscono un ricavo puntuale e un ricavo minimo che il contribuente che appartiene ad un determinato gruppo economico omogeneo deve rispettare.
In base agli studi di settore l’Iva si applica, non in relazione alle singole operazioni realizzate, in base ai corrispettivi pagati o da pagarsi al fornitore del bene o del servizio, ma bensì in base al valore normale di tutte le ordinarie operazioni attive compiute annualmente nel loro complesso da parte di uno stesso soggetto passivo. In particolare, l’articolo 10, comma 5, della legge n. 146/1998 prevede espressamente che ai fini Iva all’ammontare dei maggiori ricavi determinato in base agli studi di settore si applica tenendo conto della esistenza di operazioni non soggette ad imposta ovvero soggette a regimi speciali l’aliquota media risultante dal rapporto tra l’imposta relativa alle operazioni imponibili, diminuita di quella relativa alle cessioni di beni ammortizzabili e il volume d’affari dichiarato.
Sulla base di tali regole si ritiene che il giudizio della Corte di Giustizia Ue, uniformandosi ai suoi precedenti orientamenti, dovrebbe giungere alla conclusione di dichiarare incompatibile la disposizione, anche se, nel caso di specie, potrebbe essere data specifica rilevanza che la disposizione ha natura di norma antievasione.