Reati tributari, l’entità del sequestro è definita dai calcoli delle Entrate
Nei delitti tributari il profitto del reato da sottoporre a misura cautelare è rappresentato da quanto preteso dall'agenzia delle Entrate. Ne consegue che se l'indagato ha corrisposto al fisco il dovuto indicato negli atti tributari diventa irrilevante che l'imposta ritenuta evasa dal pm sia superiore.
Ad affermarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 32213 depositata ieri.
L'amministratore di una società veniva indagato per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Il gip del tribunale disponeva il sequestro preventivo per equivalente per l'ammontare delle imposte dirette e dell'Iva indebitamente detratta.
Il Tribunale del riesame, in parziale accoglimento del ricorso proposto dal legale rappresentante, riduceva il valore sottoposto a vincolo.
L'indagato ricorreva così in Cassazione evidenziando che le fatture oggetto di contestazione erano state assoggettate a reverse charge; pertanto, ai fini Iva non c'era stato alcun passaggio di denaro e ai fini delle imposte dirette, trattandosi di falsità soggettiva, il costo era deducibile, con conseguente esclusione di imposte dovute.
Nelle more l'agenzia delle Entrate aveva, infatti, notificato solo dei provvedimenti per il recupero delle sanzioni sulle violazioni commesse, senza alcuna pretesa a titolo di imposte né dirette né per Iva.
La società versava le sanzioni irrogate e quindi, secondo la difesa, il sequestro preventivo diveniva illegittimo non essendoci più nulla da corrispondere al Fisco.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso. Secondo i giudici di legittimità, poiché il sequestro è finalizzato a garantire la successiva confisca, il pagamento degli importi richiesti dall'agenzia delle Entrate, con riguardo a tutte le annualità in contestazione, rappresentava un elemento ostativo alla misura non esistendo più alcun “profitto del reato” da recuperare.
La Suprema corte ha poi chiarito che ai fini del sequestro è irrilevante la divergenza fra la quantificazione dell'imposta evasa calcolata dal Tribunale e l'accertamento dell'agenzia delle Entrate.
L'articolo 12 bis del Dlgs 74/2000 in materia di confisca dispone che essa non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in conseguenza di accertamento con adesione, conciliazione giudiziale, rateizzazioni, ecc. Il profitto confiscabile va così individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase. Pertanto non è configurabile e non è possibile disporre o mantenere il sequestro in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di sgravio da parte dell'Ufficio.
Tali conclusioni non contrastano con il cosiddetto “doppio binario”, ossia che le decisioni dell'Agenzia non sono vincolanti per il giudice penale, poiché esso trova applicazione solo per la valutazione delle prove sull'illecito, ma non per la determinazione del profitto del reato.
In conclusione, quindi, nell'ipotesi in cui non vi è pretesa tributaria è illegittima la cautela reale finalizzata alla confisca.
Cassazione, sentenza 32213/ 2018