Imposte

Rebus di leggi per individuare il moltiplicatore applicabile

La stratificazione normativa e la difficile prassi per il calcolo dell’imposta di successione

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di Angelo Busani

La rivalutazione del reddito dominicale e della rendita catastale è il frutto del sovrapporsi di diversi provvedimenti legislativi, la cui interpretazione è tutt’altro che agevole. Nell’articolo 34, comma 5, Dlgs 346/1990 (la norma che, nel testo unico dell’imposta di successione, disciplina la materia del valore imponibile degli immobili oggetto di trasmissione ereditaria) vi è il riferimento a coefficienti di rivalutazione resi obsoleti dalla riforma del Catasto disposta con i decreti ministeriali del 20 gennaio 1990 e del 27 settembre 1991. Pertanto, occorre, in effetti considerare:

l’articolo 3, commi 48 e 51, legge 662/1996, secondo cui occorre rivalutare del 5 per cento la rendita catastale dei fabbricati e del 25% il reddito dominicale dei terreni;

il Dm 14 dicembre 1991, secondo cui il prodotto ottenuto rivalutando il reddito dominicale o la rendita catastale deve essere poi moltiplicato per i seguenti coefficienti: 75, per i terreni; 34, per i fabbricati di categoria “C/1” (e cioè i negozi) e quelli del gruppo “E”; 50, per i fabbricati di categoria “A/10” (gli uffici) e quelli del gruppo “D” (gli opifici); 100, per tutti gli altri fabbricati (diversi da quelli del gruppo B) e, quindi, in particolare, per le abitazioni.

Con l’articolo 2, comma 63, legge 350/2003 è stato poi disposto (ai «soli fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali»: la legge in effetti non menziona l’imposta di successione, che è rimasta soppressa tra il 2001 e il 2006) l’aumento dei moltiplicatori delle rendite catastali con una rivalutazione del 10 per cento.

Nell’articolo 1-bis, comma 7, dl 168/2004 (e sempre ai «soli fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale» e con riguardo ai soli immobili diversi da quelli acquistati con l’agevolazione prima casa) è stato infine disposto che la rivalutazione del 10% sancita dalla legge 350/2003 fosse elevata al 20 per cento.

In sostanza, attualmente il “valore catastale” si calcola, pertanto, come segue:

si applica alle rendite catastali il coefficiente di rivalutazione (del 5% per i fabbricati e del 25% per i terreni);

si moltiplica il prodotto così ottenuto con i coefficienti caso per caso applicabili (34, 50, 75, 100);

si rivaluta il risultato del 10 o del 20 per cento.

Ad esempio, prendendo a riferimento la rendita catastale di 1.000 euro relativa a un’abitazione, la rendita deve essere aggiornata del 5% [1.000 + (1.000/100 x 5)] e il risultato (1.050) deve essere, poi, moltiplicato per 100 (1.050 x 100); si ottiene il risultato di 105.000 che deve essere aumentato del 10% (= 115.500) se si tratta della “prima casa” o del 20% (=126.000) in ogni altra ipotesi.

L’agenzia delle Entrate non ha mai chiarito se gli aumenti del 2003 e del 2004 si applichino anche all’imposta di successione: nella prassi si tende a effettuare il calcolo meno “rischioso” (se si dichiara un valore inferiore a quello catastale l’Agenzia può pretendere la tassazione sulla base del valore venale) però, a rigore, il testo normativo non contempla l’imposta di successione e, come noto, l’analogia in diritto tributario non dovrebbe essere ammessa.

In sostanza, non pare un argomentazione granchè brillante quella secondo cui le leggi del 2003 e del 2004 avrebbero senz’altro menzionato anche l’imposta di successione se essa non fosse stata soppressa.

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