Controlli e liti

Rebus raddoppio sui righi modificati

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

La proroga al 31 ottobre delle dichiarazioni dei redditi si riflette – almeno indirettamente – anche sulle integrative, in termini di sanzioni applicabili.

Il decreto fiscale dello scorso anno (Dl 193/2016) ha aperto la possibilità di presentare le integrative lunghe, fermo restando che, come precisato a suo tempo dall’agenzia delle Entrate nella circolare 6/E/2002, l’integrazione può avvenire solo per i modelli regolarmente trasmessi e non per l’omessa dichiarazione. Ora, a quasi un anno dall’introduzione della norma, permangono alcuni dubbi sulle conseguenze dell’integrativa, soprattutto con riferimento alla riapertura dei termini di accertamento e alle conseguenze penali.

Il primo dubbio sorge considerando lo spartiacque temporale creatosi a seguito delle modifiche apportate dalla legge 208/2015 agli articoli 43 del Dpr 600/1973 e 57 del Dpr Iva. I nuovi termini di accertamento - che prevedono cinque anni per l’infedele dichiarazione e sette per l’omessa - sono applicabili a partire dai controlli effettuati relativamente all’esercizio in corso al 31 dicembre 2016; per i periodi precedenti, invece, si applicano i vecchi termini (rispettivamente quattro e cinque anni). Sappiamo che le integrative devono essere trasmesse entro i termini previsti per l’accertamento, ma che - in base al comma 640 della legge 190/2014 – in caso di correzione della dichiarazione, anche a favore, ripartono i termini dell’azione accertatrice dell’Agenzia, limitatamente agli elementi oggetto di integrazione.

Quello che non è pacifico, invece, è se in relazione alle integrative riferite ai periodi ante-2016 i termini decorrano con i vecchi o i nuovi limiti. Considerando che l’integrativa sostituisce in toto la dichiarazione originaria e che la legge 208/2015 (comma 132) prevede espressamente che per i periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 si applichino le vecchie tempistiche, l’ipotesi più plausibile è che fino a Unico 2016 i termini ripartano per quattro anni, mentre già per Redditi 2017 si dovrebbe considerare il più lungo termine. Tuttavia, visto che l’accertamento riguarda solo gli elementi corretti, potrebbe anche concludersi che lo stesso possa essere esperito fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione.

Il maggior dubbio riguarda però il raddoppio dei termini ai fini accertativi. La legge 208/2015, infatti, ha modificato anche la disciplina della dilazione dei termini di accertamento, prevedendo che il raddoppio operi solo con riferimento ai periodi di imposta antecedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016. A questo punto ci si domanda se, per le integrative di Unico 2016 e precedenti, l’Agenzia, effettuata la denuncia nei tempi richiesti, possa fruire di otto anni anziché di quattro. Poiché il comma 132 fa espresso riferimento «agli avvisi riferiti ai periodi di imposta», sembrerebbe che anche per le integrative dei modelli ante Redditi 2017 operi il raddoppio dei termini.

Va ricordato, infine, che potrebbe anche essere contestata la commissione di reati tributari con l’integrativa. In questo caso, si aprono i termini per l’indagine penale (i reati dichiarativi del Dlgs 74/2000 si prescrivono principalmente in otto anni o, in caso di interruzione, in dieci anni). Quindi, seguendo questa interpretazione e considerando ad esempio una dichiarazione Unico 2013 integrata nel 2017, l’Agenzia potrebbe avere a disposizione fino al 2025, mentre ai fini penali l’eventuale reato si prescriverebbe nel 2027.

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