Recuperi Iva da accelerare per i mancati pagamenti
La legislazione italiana che vincola il recupero dell’Iva del fornitore in caso di mancato pagamento da parte del cliente alla conclusione di una procedura concorsuale dovrebbe essere considerata, almeno a detta dell’ avvocato generale della Corte di giustizia (causa C-246/16) , incompatibile con la legislazione dell’Unione. Con questa netta presa di posizione, che attende ovviamente l’avallo finale della Corte europea, ritorna sotto i riflettori l’articolo 26 del Dpr 633/72 , norma sulla quale il legislatore nazionale è intervenuto più volte con retromarce incomprensibili e ora palesemente contrarie al diritto unionale. L’assetto dell’articolo in questione è stato negli ultimi anni, infatti, oggetto di diverse modifiche. In un primo momento la legge di Stabilità 2016, a decorrere dal 1° gennaio 2017, aveva anticipato all’apertura di una procedura concorsuale la possibilità per il creditore insoddisfatto di emettere una nota di credito e portare in detrazione l’Iva corrispondente; successivamente la legge di Bilancio 2017 ha riportato l’articolo alla sua originaria formulazione, ripristinando la regola secondo cui la rettifica alla detrazione è ammessa, in caso di mancato pagamento del cessionario/committente, solo qualora la procedura concorsuale a suo carico si sia conclusa infruttuosamente.
Una disciplina, questa, palesemente in controtendenza con quella degli altri Stati europei, nella maggior parte dei quali si fa riferimento all’apertura della procedura concorsuale al fine di correggere il debito Iva dell’impresa già sorto.
Nello specifico, la Ctp di Siracusa si è venuta a trovare dinanzi all’intricata questione consistente nell’individuare per quanto tempo un’impresa possa essere obbligata dalla normativa del suo Paese, in modo proporzionato, ad anticipare a proprie spese un’imposta che non è tenuta a sostenere sul piano economico. Rimessa la questione dinanzi alla Corte di giustizia, l’avvocato generale si è pronunciato focalizzando l’attenzione su due livelli: sul piano dei principi di proporzionalità, di neutralità e dei diritti fondamentali dell’impresa che la questione richiama; sul piano normativo in riferimento agli articoli 63, 73 e 90 della direttiva Iva. Secondo l’avvocato, proprio quest’ultima norma - la quale permette, al verificarsi di determinati eventi, la rettifica di un debito d’imposta iniziale dell’impresa che eroga la prestazione - funge da necessario contrappeso tra il corrispettivo pattuito e quello effettivamente pagato, ovvero tra il principio dell’esigibilità dell’Iva al momento in cui è effettuata l’operazione (articolo 63) e la determinazione della base imponibile, che consiste invece nel corrispettivo effettivamente ricevuto dal prestatore (articolo 73). Ciò non impedisce agli Stati membri dell’Unione di introdurre delle deroghe a riguardo, laddove la riduzione della base imponibile è dovuta al mancato pagamento. È tuttavia necessaria un’interpretazione restrittiva di tale facoltà. Come già la Corte aveva precisato nella sentenza Goldsmiths, infatti, gli Stati membri possono prevedere che l’esercizio del diritto alla riduzione della base imponibile sia subordinato al compimento di talune formalità che consentono di dimostrare che il corrispettivo non è stato percepito, ma le stesse misure non devono eccedere quanto necessario a tale giustificazione. La norma italiana, che permette un prefinanziamento dell’Iva per periodi di tempo tanto lunghi, come quelli di una procedura concorsuale, di certo non può dirsi una misura proporzionata, né sul piano temporale né tanto meno su quello della certezza del mancato pagamento. Tanto è vero che né il testo né la ratio dell’articolo 90, paragrafo 2, della direttiva consentono un’interpretazione secondo cui dovrebbe escludersi la rettifica finché non risulti, con una probabilità che appunto sfiora la certezza - ovvero solo a conclusione del fallimento - che il pagamento non avrà più luogo.
L’interpretazione che sostiene l’illegittimità della norma nazionale, che ci sembra ben motivata e condivisibile, impone subito la ripresa della riforma accantonata per rendere il sistema più proporzionale e in linea con i diritti fondamentali degli operatori economici.