Controlli e liti

Redditometro, basta la disponibilità

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di Laura Ambrosi

Ai fini dell’accertamento da redditometro occorre fornire la prova che il contribuente abbia avuto la disponibilità di determinate somme e che le stesse non siano state investite altrove . A confermare questo orientamento è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 11388/17 depositata ieri.

La vicenda trae origine da un accertamento da vecchio redditometro. In particolare, secondo l’agenzia delle Entrate alcuni investimenti rappresentativi di capacità contributiva non erano giustificati dalle disponibilità finanziarie e dai redditi dichiarati.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario, il quale solo in grado di appello accoglieva le doglianze della contribuente. L’Agenzia ricorreva così in Cassazione, lamentando, in estrema sintesi, un vizio di motivazione.

I giudici di legittimità hanno confermato la decisione di merito. Innanzitutto è stato ricordato che secondo un orientamento consolidato della Cassazione (da ultimo n. 1455/16), il contribuente non è tenuto a fornire alcuna prova sull’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata. L’unica dimostrazione è legata alla mera esistenza di tali redditi.

In ipotesi di accertamento sintetico, quindi, è sufficiente che il soggetto accertato dia prova con idonea documentazione dell’entità di tali disponibilità e della durata del loro possesso (Cass. n. 8955/14).

La norma, pur non prevedendo esplicitamente la prova del concreto utilizzo di tali somme per le spese oggetto di accertamento, richiede comunque che siano dimostrate circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. Occorre così escludere che le somme siano state utilizzate per investimenti diversi da quelli considerati, poiché in una simile ipotesi non potrebbero giustificare il tenore di vita accertato.

La Cassazione ha così ritenuto che la sentenza impugnata avesse correttamente applicato tale principio e adeguatamente motivato la propria decisione.

L’orientamento in tal senso pare ormai consolidato, superando così definitivamente alcune più remote pronunce. Era stato affermato, infatti, che al fine della prova contraria per giustificare gli investimenti patrimoniali, occorresse la dimostrazione dell’effettivo esborso, ossia che l’acquisto fosse stato eseguito con un determinato reddito.

È, invece, sufficiente l’esibizione degli estratti conto idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in questione (n. 8995/15) e quindi che astrattamente le spese considerate in sede di accertamento siano state possibili con tali disponibilità.

Tale principio, peraltro, potrebbe ritenersi applicabile anche per gli accertamenti fondati sul “nuovo” redditometro.

Va però segnalato che nonostante sia ormai pacifica questa interpretazione, gli uffici delle Entrate, sovente perseguono nel contenzioso, richiedendo, di fatto, prove impossibile da reperire.

L’ordinanza n. 11388/2017 della Cassazione

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