Controlli e liti

Redditometro, dati Istat utilizzabili per la determinazione delle spese presunte

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di Gian Paolo Ranocchi

Le spese determinate su base statistica escono dalla partita del redditometro ma non sempre. È questa la conclusione che si ricava da una delle risposte in tema di accertamento sintetico erogate dall'agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco.
Il parere del Garante della Privacy dello scorso 21 novembre 2013 ha vietato l'utilizzo dei dati Istat relativi alle spese per beni e servizi di uso comune, nell'ambito della ricostruzione induttiva del reddito ad opera del cosiddetto redditometro ex articolo 38 del Dpr n. 600/73. I valori Istat nel nuovo sintetico non rilevano però solo per la ricostruzione a tavolino delle spese correnti, ma entrano in gioco anche per determinare una serie di spese riferibili ai beni per i quali è provata la disponibilità in capo al contribuente (cosiddetti elementi certi). Secondo il Dm del 24 dicembre 2012 è il caso, ad esempio, delle spese di gestione ordinaria di auto e di immobili. In questo contesto sembrava quindi logico affermare che se i dati Istat non sono utilizzabili ricostruire le spese per beni e consumi indispensabili (alimentazione o abbigliamento), gli stessi restassero estranee anche negli altri ambiti.
Le Entrate, però, non sono di questo avviso. Secondo l'Agenzia, infatti, i dati Istat restano comunque legittimamente utilizzabili nel nuovo redditometro per la determinazione delle spese presunte imputabili al contribuente connesse agli elementi certi.
L'affermazione si presta a delle critiche. Infatti, anche se il documento del Garante non è altrettanto tranciante in merito all'inutilizzabilità dei valori statistici nell'ambito dei cosiddetti "elementi certi" quanto lo è quando tratta di spese correnti, resta il fatto che i vizi puntualmente evidenziati nel parere del 23 novembre sono sistemici. Evidenzia infatti il Garante che i valori Istat sono valori medi e quindi per loro natura non idonei ad essere ricondotti correttamente ad alcun individuo se non con notevoli margini di errore, risultando così iniqui in eccesso o in difetto rispetto al consumo in concreto di ciascun contribuente. Inoltre non è stata operata alcuna distinzione in relazione alle diverse tipologie di contribuente (operaio, impiegato, libero professionista, industriale ecc…) i quali risultano avere differenti propensioni al consumo e quindi una diversa composizione della spesa familiare, né è stata in alcun modo considerata l'ampiezza dell'area geografica di riferimento o le differenze che vi possono essere tra diverse zone dei centri abitati. Senza contare che i dati in questione sono stati acquisiti per finalità del tutto estranee rispetto alle esigenze di accertamento fiscale. Quindi vizi di fondo, non circoscritti ai casi in cui si devono stimare solo alcuni tipi di consumi.
Preso comunque atto della posizione delle Entrate l'attenzione si sposta sul tema della prova contraria. Il contribuente convocato dall'Agenzia come potrà opporsi all'attribuzione delle spese statistiche riferibili ai cosiddetti elementi certi? Sul punto la confutazione potrà essere soft nel senso che le argomentazioni potranno essere logicamente sostenibili pur se non supportate da documentazione. Quindi non argomentazioni difensive necessariamente fondate su documentazione di merito, ma anche ragionamenti di buon senso. Rimandando poi le eccezioni in merito alla legittimità dell'utilizzo dei valori statistici alla competente Commissione tributaria con il rischio di aprire un ampio fronte di contenzioso.

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