Regime per cassa, la «registrazione» finisce alle corde
Per il cosiddetto regime di cassa non può risultare sufficiente l’annunciata modifica alla norma sulle perdite che si originano per effetto della deduzione, al primo anno di applicazione, delle rimanenze finali.
È tutta la “filosofia” che va cambiata. Infatti, a ben vedere, non risulta sufficiente, per dirimere la complessità del regime, nemmeno la regola – opzionale – della registrazione Iva. La norma (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973) stabilisce una presunzione legale assoluta in base alla quale «per finalità di semplificazione si presume che la data di registrazione dei documenti coincida con quello in cui è intervenuto il relativo incasso o pagamento». Sembrerebbe una semplificazione nella semplificazione ma, a volte, i “rafforzativi” si annullano, specie quando fondati su basi malferme.
Il criterio della registrazione Iva non risulta, infatti, quella panacea che, a prima vista, potrebbe sembrare. Basterebbe questo esempio: se si acquista un bene strumentale nel 2017, non è che se si registra la relativa fattura di acquisto (nel 2017) si deduce interamente il costo nell’anno. Si deducono, invece, gli ammortamenti. Lo stesso vale se si riceve la fattura per il maxi-canone di leasing, il quale rileva in base alla competenza temporale a prescindere da quando viene registrata la fattura. Ma anche una banale fattura del canone di leasing datata, ad esempio, gennaio, ma relativa al canone di dicembre, rileva con il criterio della competenza temporale e non in base al momento della registrazione Iva. Lo stesso vale per le fatture relative alla cessione di un bene, dalla quale si ricava una plusvalenza o una minusvalenza, così come rileva comunque la competenza temporale per le fatture relative ai costi d’impianto, alle spese di sviluppo, alle manutenzioni su beni di terzi (e l’elenco potrebbe continuare).
In sostanza, il principio è che le poste che si determinano per competenza continuano a rilevare per competenza anche quando risultano documentate da una fattura (attiva e passiva). Il criterio della registrazione Iva vale, infatti, per quelle poste che rilevano “per cassa” e che sono documentate da fattura (soggetta a registrazione).
Così che non può valere nemmeno per le poste che non risultano documentate da una fattura. Ad esempio: un fitto passivo di un contratto di locazione stipulato con un privato, che rileva in base al criterio di cassa, continua a rilevare con il medesimo criterio di cassa a prescindere da quando si esegue la “annotazione” (si tenga presente questo termine). Lo stesso principio vale per gli accantonamenti di fine rapporto di lavoro dipendente, che rilevano per competenza, a prescindere da quando viene eseguita l’”annotazione”.
Infatti, la norma (articolo 18, comma 5, del Dpr 600/1973) distingue tra «registrazioni» (Iva) e «annotazioni». Queste ultime sono quelle non soggette a registrazione Iva, ma da eseguirsi per effetto del regime “semplificato”. Solo però per le registrazioni Iva vale il principio che il “registrato” equivale a incassato o pagato. Questo alla condizione che si tratti di poste che rilevano “naturalmente” per cassa. Per le annotazioni – cioè per quelle operazioni non rappresentate da documenti Iva – invece, la presunzione non opera in ogni caso, per cui si applica naturalmente il criterio misto “cassa-competenza”. In definitiva, il quasi inverosimile criterio misto cassa/competenza rileva anche se si segue il regime della registrazione Iva. Così che più che una semplificazione quella dei “semplificati” risulta davvero una (altra) mistificazione.