Professione

Regime forfettario, anche la soglia alzata conviene più a chi ha strutture leggere

Professionisti senza scelta: tutto dipende dalla natura dell’attività esercitata. Il sistema continua a disincentivare la crescita, premiando modelli deboli fondati su piccole dimensioni

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di Andrea Dili

La legge di Bilancio (la n. 197/2022) ha riacceso i riflettori sul regime forfettario e, più in generale, sul modello di tassazione dei redditi prodotti dalle persone fisiche. In particolare, le attenzioni degli addetti ai lavori si sono concentrate, ancora una volta, sul confronto tra il trattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo soggetti al forfettario e quello riservato ai redditi di lavoro dipendente assoggettati a Irpef. Poco spazio, invece, è stato dedicato alla disamina degli effetti del forfettario sui redditi di lavoro autonomo, anche in virtù dell’innalzamento del limite di accesso al regime da 65mila a 85mila euro di ricavi/compensi annui disposto dal comma 54 della 197/2022. Effetti che, considerando l’ampiezza e la crescente diffusione del forfettario, potrebbero avere un impatto rilevante sul mercato dei servizi professionali, sia in termini di concorrenza sia di scelta dei modelli organizzativi.

IL CONFRONTO

Anche perché, se è vero che il forfettario rappresenta il regime naturale per le persone fisiche che svolgono attività di impresa ed esercitano arti e professioni in forma individuale, è altrettanto certo che non tutti gli imprenditori e i professionisti possiedono i requisiti o hanno la convenienza ad accedervi. È bene ricordare, infatti, che, oltre al citato limite dimensionale legato all’ammontare dei ricavi/compensi annui e alle incompatibilità previste dal comma 57 dell’articolo 1 della legge n. 190/2014, non possono avvalersi del forfettario i soggetti che operano attraverso strutture organizzate. Questo per due ordini di motivazioni:

- legale, cioè il vincolo (massimo 20mila euro lordi annui) all’utilizzo di dipendenti e collaboratori da parte dei contribuenti forfettari;

- sostanziale, qualora i costi effettivamente sostenuti siano significativamente superiori a quelli forfettariamente riconosciuti.

Semplificando, potremmo ragionevolmente affermare che usufruiranno del forfettario i soggetti con strutture estremamente leggere, mentre non avranno convenienza a beneficiarne coloro che si avvalgono di dipendenti e collaboratori, investono nell’attività e sostengono costi di funzionamento non marginali.

Focalizzando l’analisi sui professionisti, peraltro, va rilevato che molto spesso l’appartenenza all’una o all’altra categoria non dipende da una libera scelta ma da natura e caratteristiche dell’attività esercitata: si pensi, ad esempio, alla differenza tra l’attività di un dentista, che necessariamente richiede l’utilizzo di strutture e macchinari, e quella di un free lance. Con la conseguenza che a parità di reddito i due contribuenti si trovano non solo a essere assoggettati a due regimi fiscali diversi, ma anche a subire un carico fiscale sensibilmente disomogeneo.

L’entità di tale disuguaglianza è assai significativa e cresce all’aumentare del reddito, tant’è che confrontando due professionisti iscritti alla gestione separata Inps, uno forfettario l’altro in regime ordinario Irpef (tabella sopra), si rileva che:

- a 20mila euro di reddito il primo gode di un risparmio d’imposta di circa il 70% rispetto al secondo;

- a 40mila euro tale divario cresce al 77,5%;

- a 60mila euro si attesta sull’81%.

Il professionista forfettario, quindi, beneficia di un notevole vantaggio fiscale rispetto al collega in regime ordinario Irpef. Vantaggio che, a onor del vero, potrebbe ridursi qualora il contribuente Irpef avesse maturato il diritto a usufruire delle relative detrazioni. Senza considerare, tuttavia, che nei casi di attività svolte nei confronti di soggetti che non hanno la possibilità di detrarre l’Iva il forfettario gode di un ulteriore vantaggio di “prezzo”.

Potrebbe essere utile, allora, oltre a chiedersi se tale disparità di trattamento debba o no trovare una “giustificazione” all’interno dell’ordinamento tributario, interrogarsi sugli effetti disincentivanti sulla crescita e sull’aggregazione delle attività professionali generati da un sistema fiscale che continua a premiare un modello professionale debole e incentrato sulla micro dimensione.

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