Imposte

Regime sospensivo solo in caso di rientro al committente

di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

Per evitare dubbi agli operatori sarebbe opportuno che le Entrate dessero qualche conferma anche con riguardo alle modifiche apportate dalla legge 115/2015 alla disciplina dei trasferimenti di beni a scopo di lavorazione fra Stati membri, in particolare agli articoli 38, comma 5, lettera a), (per i beni in arrivo in Italia) e 41, comma 3, del Dl 331/93 (per i beni in uscita dall’Italia). Modifiche rese necessarie a seguito della sentenza della Corte di giustizia Ue nelle cause riunite C-606/12 e C-607/12, sull’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera f) della direttiva 2006/112.

La rigorosa interpretazione delle norme modificate, lette con il testo della disposizione Ue e con la citata sentenza, porta a ritenere che il regime sospensivo previsto dall’articolo 17 della direttiva trovi applicazione se (e solo se) i beni inviati in altro Stato membro per la lavorazione, una volta ultimata la prestazione, rientrano nello Stato Ue di partenza e sono rispediti allo stesso soggetto passivo che, in veste di committente della lavorazione, ne ha disposto l’invio all’estero.

Se non si verificano entrambi i presupposti, si realizza un trasferimento “a se stessi” per esigenze dell’impresa e, quindi, un’operazione intracomunitaria assimilata. Ciò significa che se un operatore francese invia in Italia beni per una lavorazione a cura di un terzista residente in vista, per esempio, del loro successivo trasferimento in un terzo Stato membro, egli è tenuto ad assumere una posizione Iva in Italia per dar corso a una cessione intracomunitaria assimilata dallo Stato Ue di partenza a quello di arrivo, laddove essa è trattata come acquisto intracomunitario assimilato, con i conseguenti obblighi a carico del rappresentante fiscale qui nominato o dell’identificazione diretta assunta.

In modo speculare, l’operatore nazionale che invii beni in altro Stato membro per una lavorazione senza che gli siano restituiti in Italia dopo l’esecuzione del servizio, dovrà assumere una posizione Iva nello Stato della lavorazione per realizzare l’operazione intracomunitaria assimilata, da osservare come cessione non imponibile dal punto di vista nazionale e come acquisto soggetto a imposta nel Paese di arrivo dei beni in base alla disciplina interna di tale Stato.

Tramite la partita Iva aperta nel Paese di lavorazione e in base alle regole ivi previste, sono poi disciplinate le ulteriori operazioni sui beni finiti: cessioni intracomunitarie verso altri Stati Ue, cessioni all’esportazione o vendite interne con addebito di Iva, a meno che il Paese in questione, in quest’ultima ipotesi e nei casi in ciò sia tecnicamente possibile (clienti soggetti passivi), non imponga il reverse charge. In tal caso, infatti, la cessione dovrebbe essere fatturata direttamente dall’operatore nazionale in inversione contabile ex articolo 21, comma 6 bis, lettera a), Dpr 633/72, facendo attenzione a non duplicare il valore delle operazioni attive, visto che i beni da sottoporre a lavorazione sono già stati fatturati alla posizione Iva estera al momento dell’invio al terzista.

Oltre a confermare queste conclusioni, un intervento ufficiale potrebbe autorizzare una semplificazione che non pare disallineata rispetto alla “ratio” della disciplina. Si tratta di ammettere che il regime sospensivo operi e che non vi sia quindi alcun obbligo d’identificarsi nel Paese della lavorazione, in tutti i casi in cui sia previsto che i beni, una volta eseguita la prestazione, non tornino al committente ma siano comunque destinati a rientrare in Italia ancorché a un altro soggetto nazionale cui sono stati ceduti.

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