Imposte

Registro sulla cessione d’azienda: sì al calcolo che conteggia i debiti

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di Angelo Busani

Il valore delle passività aziendali, di cui l’acquirente dell’azienda si fa carico, può essere dedotto, per calcolare la base imponibile dell’imposta di registro, dal valore delle attività aziendali oggetto di trasferimento? In altre parole, se l’attivo dell’azienda vale 1.000 e l’azienda viene ceduta quando vi sono crediti di fornitori per 700 (di cui l’acquirente si fa carico: e il prezzo è ovviamente di 300), la base imponibile è di 1.000 o di 300?

Come determinare il valore
La risposta è facile: l’azienda è una delle pochissime situazioni (un’altra è l’eredità) nelle quali all’identificazione dell’entità che, caso per caso, si osserva - ad esempio ai fini di cessione - concorrono sia componenti di valore positivo (le immobilizzazioni, il magazzino, l’avviamento, eccetera) sia componenti di valore negativo (i debiti, i fondi rischi, il disavviamento, eccetera).

In sostanza, chi compra un qualsiasi bene (un edificio, un’automobile) non diventa responsabile delle obbligazioni che il venditore abbia contratto con riferimento a quel bene: se Tizio vende a Caio un appartamento appena ristrutturato e l’impresa che ha eseguito i lavori non sia stata pagata, non è possibile che a Caio sia richiesto il pagamento di quel debito, poiché si tratta di un debito personale di Tizio, che non passa a Caio per effetto della compravendita. Invece, se Tizio vende a Caio un’azienda, è naturale che Caio risponda dei debiti aziendali, in quanto essi, appunto, sono una componente “naturale” dell’azienda, poiché concorrono a costituirne la sua stessa essenza.

Lo ratifica l’articolo 2560 del Codice civile, il quale sancisce che «nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti...anche l’acquirente della azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori». Questa norma chiarisce che l’acquirente non può essere tenuto a rispondere di qualsiasi debito aziendale, ma solo di quelli dei quali si possa rendere conto dalle scritture contabili. Di conseguenza, quando si calcola il valore di un’azienda, si deve sottrarre il valore delle componenti passive dal valore delle componenti attive.

La Corte di cassazione
Senonché, tutte queste considerazioni sono messe in dubbio dalla Corte di cassazione, la quale, in più di una occasione, ha deciso l’esatto contrario. Ad esempio, nella sentenza n. 22223/2011 si legge che «ai fini della determinazione del valore dell’atto di acquisto di un complesso aziendale» «non si debbono detrarre dal prezzo indicato nel contratto le eventuali passività trasferite unitamente al cespite». Il principio non è il frutto di un abbaglio, in quanto è stato poi identicamente reiterato nelle sentenze n. 8912/2014, 23873/2015 e 22099/2016.

La ragione di questa conclusione sarebbe da rinvenire nella considerazione che la legge di registro (l’articolo 51, comma 4, dpr 131/1986) impone di determinare la base imponibile «con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento» «al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie» solo (sono le parole della Cassazione) nella «specifica ipotesi in cui l’Ufficio finanziario disattenda detto valore e proceda ad autonoma valutazione, nel qual caso soltanto esso dovrà sottrarre le passività al prezzo di mercato del bene». Quindi, delle passività si deve tener conto solo in sede di accertamento; quando invece il contribuente calcoli da sè la base imponibile, bisognerebbe considerare solo il valore delle attività trasferite.

Un’interpretazione recente
La legge di registro sancisce (sempre all’articolo 51) che, nel caso di cessione di azienda, l’imponibile è rappresentato dal «valore dichiarato»; se nell’atto di cessione manchi l’espressione di un «valore», ma esso indichi il «corrispettivo pattuito», è questo «corrispettivo pattuito» a rappresentare la base imponibile; infine se l’atto contenga l’indicazione sia di un «valore dichiarato» che di un «corrispettivo pattuito», la base imponibile è rappresentata dal maggiore tra questi due elementi.

Come abbiamo appena visto, per la Cassazione le passività non si potrebbero tuttavia detrarre tout court. Questa conclusione non è però condivisibile: non solo perché, in linea generale, non è conforme al principio di capacità contributiva (ciò che acquista il cessionario è un insieme di attività e di passività e queste ultime non possono non abbattere il valore del trasferimento); ma anche perché se la legge impone all’Ufficio di tener conto del passivo nell’esercizio del suo potere di accertamento, non può non applicarsi lo stesso criterio quando il contribuente determina la base imponibile per auto-liquidare l’imposta dovuta.

Quest’ultima considerazione è il fulcro di una appropriata e ben motivata sentenza della Ctp di Modena (la n. 417 del 19 luglio 2018; presidente e relatore: Zanichelli), nella quale si contesta l’orientamento della Cassazione, affermando che esso non «considera l’accollo da parte dell’acquirente dei debiti risultanti dalle scritture contabili come una modalità di pagamento del prezzo con la conseguenza di ritenere tale valore escluso dal calcolo del valore dell’azienda ceduta»: così ragionando, secondo il giudice emiliano, non si fa una «dovuta valorizzazione della solidarietà passiva dell’acquirente per i debiti aziendali» ai sensi dell’articolo 2560 del Codice civile in quanto «l’obbligazione dell’acquirente stesso non è volontaria» ma è «una conseguenza necessaria della successione nella titolarità dell’azienda il cui valore non può che essere pari alla differenza tra poste attive e poste passive».

Gli esempi nella tabella
Nella tabella qui a destra sono riportati quattro esempi di cessione d’azienda con relativa di determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro. Negli esempi si è tenuto conto che il valore delle passività aziendali sia deducibile dall’attivo. Le cose cambiano se questa deducibilità non venga ammessa.

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