Controlli e liti

Registro fisso sul decreto ingiuntivo per il pagamento del reso merce

La sentenza 457/18/2020 della Ctr Lombardia: si applica il principio di alternatività tra Iva e registro

(Adobe Stock)

di Massimo Romeo

Registro fisso sul decreto ingiuntivo di condanna al pagamento delle somme dovute per reso merce. È quanto emerge dalla sentenza 457/18/2020 della Ctr Lombardia (presidente Martorelli, estensore Baldi).

La vicenda
La questione esaminata dai giudici tributari milanesi si pronuncia sull’applicabilità o meno del principio di alternatività Iva/registro su resi merce contrattualmente pattuiti in esito ad un procedimento monitorio. In particolare la ricorrente (società di capitali) otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo con cui veniva condannata un’altra società (parte contrattuale) al pagamento di somme per resi di merce da effettuare e per un premio sul raggiungimento del fatturato; sia i resi di merce che il premio erano stati concordati nel contratto di fornitura intercorrente tra le parti, comprovato da note di addebito per i resi di merce e da una fattura per il premio sul raggiungimento del fatturato.

Tralasciando le altre questioni ci si sofferma sull’applicazione da parte dell’agenzia delle Entrate dell’imposta di registro proporzionale sul decreto ingiuntivo di condanna al pagamento delle somme dovute per reso merce (come previsto nel contratto di fornitura) che la ricorrente sosteneva illegittima in quanto concernente prestazioni soggette a Iva.

Secondo l’amministrazione finanziaria non poteva trovare applicazione il principio di alternatività Iva/registro (articolo 40 del Dpr 131/1986) trattandosi di un reso di merce , non essendoci stata, cioè, una fornitura di prestazioni soggette a Iva ma esclusivamente il ripristino della situazione antecedente.

I giudici di primo grado decidevano di accogliere il ricorso in quanto l’operazione commerciale doveva considerarsi rientrante nel campo di operatività dell’Iva e, pertanto, il decreto monitorio andava assoggettato ad imposta fissa.

La decisione di secondo grado
I giudici regionali, nel confermare l’illegittimità della ripresa fiscale, offrono ulteriori argomentazioni a supporto dell’operatività, nel caso di specie, del più volte citato principio di alternatività.

Il collegio regionale “prende le mosse” proprio dal dettato normativo richiamato dall’Ufficio (articoli 1 e 2 del Dpr 633/72) in base al quale «le operazioni imponibili sono quelle relative alla prestazione di servizi e alla cessione di beni» nonché che «costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento di proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere».

Tenendo in considerazione tale dettato normativo i giudici, nel caso di specie, riconoscono, da un lato, che vi era stato un trasferimento di proprietà (come rilevato dai giudici di primo grado), dall’altro che esso non poteva, però, configurarsi quale cessione a titolo oneroso dietro corrispettivo.

Tuttavia, chiosa il collegio, se analizzata da altra prospettiva si può arrivare a dedurre che la restituzione della merce, pur non rappresentando un corrispettivo per una prestazione, costituiva l’esatta determinazione dell’effettivo quantum spettante all’agente ovvero che la restituzione della somma (oggetto dell’ordinanza ingiunzione) non configurasse altro che una prestazione determinante l’esatto corrispettivo dovuto alla società ricorrente per le prestazioni oggetto del contratto di fornitura, prestazioni pacificamente soggette a Iva.

Pertanto, concludono i giudici ambrosiani, stante l’evidente collegamento causale con il sottostante contratto di agenzia, le cui prestazioni avevano già scontato il regime Iva, trovava piena operatività il principio di alternatività Iva/registro.

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