Controlli e liti

Regole sull’improcedibilità applicabili alle liti all’ente

Estese le norme del codice di rito all’accertamento dell’illecito amministrativo

di Antonio Iorio

La durata dei procedimenti penali per responsabilità dell’ente a norma del Dlgs 231/2001 sembra essere stata dimenticata dalla riforma del Codice di procedura penale, con la conseguenza che non è chiaro se trovino ancora applicazione le specifiche regole sulla prescrizione previste per queste violazioni, ovvero le nuove norme sull’improcedibilità contenute nella riforma del codice.

Tra le disposizioni già in vigore contenute nella legge delega di riforma del codice vi è il nuovo regime della prescrizione e la durata dei giudizi di impugnazione. In sintesi, sono stati individuati due distinti segmenti temporali:

- il primo (cosiddetto “tempo dell’oblio” cui consegue la prescrizione del reato) inizia a decorrere con la consumazione del reato e cessa con la sentenza di primo grado;

- il secondo (cosiddetto “tempo del processo” cui consegue l’improcedibilità dell’azione penale), attiene la ragionevole durata del giudizio di impugnazione (due anni per l’appello e un anno per la cassazione). Il superamento di tali termini determina l’improcedibilità dell’azione penale. Una volta cessato il corso della prescrizione, il tempo successivo non incide sul reato, ma sul potere dello Stato di proseguire l’azione penale. Il procedimento per l’accertamento della responsabilità dell’ente in base al Dlgs 231/2001 prevede l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni del Codice di procedura penale. Vi sono poi specifiche regole sulla prescrizione: il termine prescrizionale è di cinque anni e decorre dalla consumazione del reato presupposto. Tale termine è interrotto in due soli casi:

1) contestazione dell’illecito da parte del Pm;

2) richiesta di applicazione di misura cautelare interdittiva.

Nell’ipotesi di contestazione dell’illecito, la prescrizione non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento: questo elemento differenziava maggiormente la prescrizione penale da quella per l’illecito degli enti.

La riforma del codice non fa alcun riferimento alla normativa 231/2001.

Si tratta quindi di comprendere se l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei previsti tempi di durata dell’impugnazione riguardi solamente il reato di cui è imputato la persona fisica oppur anche l’illecito addebitato all’ente.

A seconda dell’interpretazione, le conseguenze sono particolarmente rilevanti:

1) escludendo l’estensione dell’improcedibilità alla responsabilità ex Dlgs 231/2001, si continuerebbe ad avere un differente regime processuale tra la persona fisica e l’ente, e pertanto la prima beneficerebbe dell’improcedibilità, mentre per la società il giudizio proseguirebbe;

2) ammettendo, invece, la prevalenza delle nuove norme, l’ente seguirebbe la stessa sorte dell’imputato persona fisica una volta decorso il termine previsto per quella determinata fase processuale.

Secondo un’interpretazione letterale si dovrebbe giungere alla prima soluzione confermando quindi un differente regime processuale tra le due tipologie di illecito.

Al contrario operando un’interpretazione più sistematica delle norme si giungerebbe alla seconda (e più ragionevole) conclusione: le nuove regole sull’improcedibilità sarebbero immediatamente applicabili anche al processo a carico degli enti, stante il richiamo previsto dall’articolo 34 Dlgs 231/2001 che, pur con la clausola di salvaguardia della verifica di compatibilità, estende le norme del codice di rito all’accertamento dell’illecito amministrativo.

Considerato che nei prossimi anni è prevedibile un sensibile incremento delle contestazioni agli enti (la normativa è stata estesa da poco tempo ai reati tributari più gravi e include anche il reato di cui all’articolo 316-ter del Codice penale che viene contestato in tutti i casi di contribuzioni a fondo perduto) vi è da sperare che presto interverranno interpretazioni da parte della giurisprudenza.

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