Remunerazione di titoli perpetui: dalle Entrate un chiarimento con potenziali effetti Irap
L’interpello 291 apre uno spiraglio per la deducibilità delle somme a fini Irap per gli intermediari finanziari
Con la risposta a interpello 291/2020 (pubblicata il 31 agosto), l’agenzia delle Entrate si è occupata del regime fiscale dei titoli perpetui, chiarendone sia la qualificazione, come strumento finanziario assimilato alle obbligazioni, sia la natura di interesse presente nella relativa remunerazione (disciplinata dall'articolo 96 del Tuir).
Manca un chiarimento di tale remunerazione ai fini Irap, probabilmente perché l’emittente non è un intermediario finanziario. Con questa risposta, l’Agenzia ha applicato correttamente il sistema normativo che disciplina i criteri di qualificazione degli strumenti finanziari ai fini fiscali (combinato disposto degli articoli 5 del Dm 8 giugno 2011 e 44, comma 2, del Tuir), senza aggiungere nulla di nuovo allo stato dell'arte interpretativo. Tuttavia, alcuni interessanti passaggi sembrano sostenere un’interpretazione differente da quella sostenuta nella risoluzione 91/E/2019, che è nota per aver ritenuto le remunerazioni su strumenti di adeguatezza patrimoniale non deducibili dalla base imponibile Irap di un intermediario finanziario.
Poiché i titoli in questione prevedono discrezionalità per l’emittente sia in termini di pagamento periodico degli interessi (i quali non sono agganciati ai risultati dell’emittente) che di rimborso del capitale, essi sono contabilizzati, ai sensi del principio Ias 32, come strumenti di capitale e le relative remunerazioni come dividendi (Ias 32, par. 35).
La lettura consolidata sulle remunerazioni a fini Irap
L’agenzia delle Entrate (risoluzione 91/E/2019), dunque, ha apoditticamente ritenuto che le remunerazioni su strumenti di adeguatezza patrimoniale (cosiddetti “AT1”) mantengono la natura di dividendi anche ai fini Irap, sostenendone l’irrilevanza anche in base all’articolo 2, comma 2, del Dm 8 giugno 2011, senza, tuttavia, illustrare la chiave di lettura interpretativa di tale ultima disposizione, nemmeno nella versione modificata dal Dm 3 agosto 2017.
Lo spiraglio aperto dalla risposta 291
Nella risposta 291/2020, invece, è esposta una chiara interpretazione dei fatti nonché la qualificazione, nell’ambito delle imposte sui redditi, della remunerazione dei titoli perpetui come interessi, applicando correttamente il combinato disposto degli articoli 5 del Dm 8 giugno 2011 e 44, comma 2, del Tuir.
Inoltre, l’inquadramento della remunerazione prevista sui titoli perpetui oggetto di interpello potrebbe tornare utile per quelle fattispecie in cui gli strumenti finanziari, prevedendo una remunerazione fissa, o comunque non ancorata ai risultati dell’emittente, siano contabilmente qualificati come strumenti di capitale.
Infatti, la relazione illustrativa al Dm 3 agosto 2017 specifica che per i componenti di reddito per i quali non è mai prevista l'imputazione a conto economico occorre indagarne la natura, per identificare ed applicare quelle disposizioni ai fini Ires e Irap applicabili ai componenti di conto economico aventi la medesima natura di quelli imputati a patrimonio. Ne dovrebbe conseguire che la posizione espressa dall’agenzia delle Entrate nella risposta 291 contenga l’interpretazione richiesta dal citato articolo 2, comma 2, per qualificare ai fini Ires e Irap un componente di reddito imputato a patrimonio, e, nella misura in cui tale remunerazione non rappresenti una partecipazione agli utili del soggetto emittente (situazione rappresentata proprio nella risoluzione 91/E), sostenerne la deducibilità Irap per gli emittenti intermediari finanziari.