I temi di NT+Modulo 24

Residenza fiscale all’estero, la bussola per tassazione e dichiarazione dei redditi

Nelle ultime risposte a interpello delle Entrate i chiarimenti sul regime applicabile a seconda del Paese in base alla rispettiva convenzione sulle doppie imposizioni

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di Cristian Valsiglio

Relativamente alle risposte fornite dall’agenzia delle Entrate in tema di residenza fiscale è opportuno evidenziare i seguenti due aspetti:
1) la residenza fiscale nel diritto tributario italiano;
2) la residenza fiscale nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

In merito al primo aspetto, la norma di riferimento è l’articolo 2, comma 2, del Dpr 917/1986 (Tuir).

Tale disposizione considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.

Inoltre, in base al comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto ministeriale 4 maggio 1999.

Come chiarito nel paragrafo 2 della circolare del ministero Finanze del 24 giugno 1999, n. 140, la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l’effettività della nuova residenza. Deve essere, tuttavia, necessario considerare tale disposizione alla luce del principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno.

Tale principio è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’articolo 169 del Tuir e dall’articolo 75 del Dpr 600/1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

In generale, i trattati sottoscritti dall’Italia al fine di evitare le doppie imposizioni, prevedono il concetto di residenza nell’articolo 4.

Questa disposizione richiama, riguardo alla definizione del concetto di residenza, al paragrafo 1, la nozione contenuta nelle normative interne dei due Stati contraenti la suddetta Convenzione e stabilisce, al paragrafo 2, conformemente al modello Ocse di Convenzione, le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra tali Stati contraenti.
Le regole in questione fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.

A seconda del Paese contraente vi sono differenti soluzioni.

Ad esempio, il trattato internazionale sottoscritto con la Svizzera, reca una disposizione che prevede esplicitamente, per la soluzione dei casi di doppia residenza, il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso dell’anno. In particolare, il suddetto articolo 4, paragrafo 4, della Convenzione prevede che «la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data».A tal riguardo, l’agenzia delle Entrate ( risposta n. 73 ) osserva, pertanto, che, nella fattispecie prospettata dall’Istante, l’asserita doppia residenza in Italia e in Svizzera nel periodo d’imposta X può essere risolta applicando il criterio del frazionamento secondo i periodi di residenza in entrambi i paesi (c.d. split year).

In linea con tale impostazione il trattato con la Germania, seguendo le raccomandazioni formulate nel paragrafo 10 del Commentario all’articolo 4 del modello di Convenzione Ocse, reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso dell’anno ( risposta n. 170 ).

Nel caso, invece, della Convenzione sottoscritta tra Italia e Francia, nell’ipotesi in cui il contribuente dovesse risultare residente in Francia per la maggior parte del periodo d’imposta, gli eventuali redditi percepiti a fronte di un’attività lavorativa a tempo indeterminato svolta all’estero nell’anno di riferimento non saranno assoggettati ad imposizione in Italia e, quindi, non dovranno essere indicati nella dichiarazione dei redditi relativa a tale annualità ( risposta n. 79 ).

Inoltre, nelle varie risposte, l’agenzia delle Entrate evidenzia che l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (cfr. circolare n. 9/E del 1° aprile 2016); pertanto, tutte le risposte fornite si basano sui fatti e sui dati così come prospettati nell’istanza di interpello, fermo restando, in capo al competente Ufficio finanziario, l’ordinario potere di verifica e di accertamento dell’effettiva residenza all’estero del Contribuente.


Questo articolo fa parte del Modulo24 Tuir del Gruppo 24 Ore.

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