Rettifica sul ricarico solo con un campione rappresentativo dei prodotti venduti
La Cassazione ammette l’analitico-induttivo ma i campioni devono essere rilevanti e rispondenti alla media prescelta
Il riscontro di percentuali di ricarico non congrue sulla merce venduta costituisce – ai fini delle imposte dirette e dell’Iva – legittimo presupposto per l’accertamento analitico-induttivo, a condizione che la determinazione della percentuale di ricarico risulti essere coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti.
Pertanto, nel caso in cui il contribuente contesti nel corso del giudizio il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione finanziaria in relazione alle critiche sollevate alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura (omogenea o eterogenea) dei beni-merce nonché della rilevanza dei campioni selezionati e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto. A tale conclusione è giunta la Cassazione con l’ordinanza 20580/2021.
La pronuncia ha indirettamente confermato la legittimità dell’accertamento analitico con determinazione induttiva dei ricavi (Cassazione, sentenza 951/2009), emanato in base all’articolo 39 comma 1 lettera d) del Dpr 600/1973 e dell’articolo 54 del Dpr 633/1972. Nel caso di ricostruzione indiretta dei ricavi o del volume d’affari, infatti, dall’atto di accertamento si deve evincere il procedimento logico e l’attendibilità dei dati posti a base della menzionata ricostruzione, che deve suffragare la coerenza e la sostenibilità della ricostruzione operata tenendo in considerazione anche i comuni canoni di esperienza, i fatti notori e le ulteriori circostanze specifiche rappresentate dal contribuente.
Secondo la Cassazione (sentenza 1119/2017) il processo introdotto dall’articolo 2729 del Codice civile - per il quale le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla valutazione del giudice che deve ammettere esclusivamente quelle gravi, precise e concordanti - opera esclusivamente nei casi in cui il fatto certo che legittima il procedimento presuntivo non risulta essere controverso.
In tutti gli accertamenti presuntivi nei quali non viene disciplinata espressamente una presunzione legale, l’onere della prova grava su colui che intende trarne vantaggio (Agenzia) che ha, pertanto, l’onere di dimostrare che il nesso inferenziale tra fatto noto e fatto ignorato riveste i richiamati caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Le disposizioni contenute negli articoli 39, comma 1 lettera d), del Dpr 600/1973 e 54 del Dpr 633/1972 devono essere lette congiuntamente con l’articolo 62-sexies, comma 3 del Dl 331/1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 427/1993, in forza del quale gli accertamenti analitici-presuntivi «possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta».La sussistenza di una pluralità elementi indizianti a fondamento delle rettifiche induttive è stata, di fatto, superata normativamente, ed è pertanto sufficiente la presenza di incongruenze tra il dichiarato e l’accertabile (Cassazione, sentenza 656/2014) per legittimare l’agenzia delle Entrate a superare la regolarità formale delle scritture contabili e a ricostruire induttivamente il reddito, trasferendo sul contribuente l’onere della prova contraria.
Pertanto, nell’ipotesi in cui l’Ufficio abbia individuato gli indicatori di inattendibilità dei dati contabili a fronte di una scarsa redditività (Cassazione, sentenza 1053/2013) o abbia rappresentato le ragioni in forza delle quali la condotta dell’impresa assume connotati di antieconomicità non compatibili con l’andamento dell’ordinaria gestione caratteristica e in grado di comprovare una astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, l’accertamento fiscale risulta essere assistito da presunzione di legittimità, senza che l’Amministrazione finanziaria sia tenuta a provare null’altro «se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate» (Cassazione, ordinanza 28713/2017).
Nel caso in cui, attraverso tale procedimento, si pervenga a valori che non risultano convincenti in quanto espressivi di ricarichi singoli e medi non in linea con quelli propri dello specifico settore di attività ovvero sostanzialmente insufficienti ai fini di una adeguata remunerazione dei fattori della produzione impiegati nell’impresa, l’attività ispettiva non può prescindere dalla individuazione dei valori ritenuti maggiormente verosimili che conducano a stabilire una percentuale di ricarico media ponderata accettabile, da applicare al costo del venduto (circolare Guardia di Finanza 1/2018).
Nella pronuncia in esame, il collegio di legittimità ha escluso la sufficienza probatoria della percentuale di ricarico con riferimento alla natura e alle caratteristiche dei beni venduti, ritenendole non coerenti e non congrue rispetto alle caratteristiche dei beni-merce, alla rilevanza dei campioni selezionati e alla loro rispondenza al criterio di media individuato (Cassazione, sentenza 24001/2013).