Controlli e liti

Rettifiche al test delle dichiarazioni verbali

Le istruzioni delle Entrate sull’uso delle dichiarazioni rilasciate al Fisco

di Antonio Iorio

Le dichiarazioni del rappresentante legale o dell’imprenditore ai funzionari del fisco nel corso della verifica fiscale sono sufficienti a sorreggere una rettifica a differenza del caso in cui le dichiarazioni provengano dal socio non amministratore. A fornire queste indicazioni agli uffici, basate sostanzialmente sulla giurisprudenza di legittimità, è la Direzione centrale dell’agenzia delle Entrate. La questione, in estrema sintesi, attiene alla valenza probatoria delle dichiarazioni verbali rese dal contribuente o da un terzo soggetto nel corso del controllo.

Il processo tributario

Dinanzi alle commissioni tributarie la prova è essenzialmente di tipo documentale, anche se sono ammesse le dichiarazioni rilasciate in atti prodromici ed esterni al processo. In genere si tratta delle dichiarazioni contenute nel processo verbale redatto in sede di verifica ovvero in specifici documenti debitamente sottoscritti a sostegno di una determinata tesi o accadimento.

La giurisprudenza di legittimità, negli anni, ha parificato queste dichiarazioni alle altre prove e quindi liberamente valutabili dal giudice ai fini del proprio convincimento.

Il legale rappresentante

Nel corso della verifica, spesso, l’amministratore della società o l’imprenditore rilascia dichiarazioni che vengono poi poste a base del successivo accertamento. Le ipotesi più frequenti riguardano la percentuale di ricarico, gli sconti praticati, ecc. ossia elementi che consentono di ricostruire induttivamente il reddito. Secondo la Cassazione (da ultimo sentenza 3385/2020) le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società integrano una confessione stragiudiziale, atteso il rapporto di immedesimazione organica con la società rappresentata (sentenza 22616/2014). Esse costituiscono prova non già indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile eventualmente accertato. I giudici hanno altresì affermato che ciò vale ancor più nel caso in cui il dichiarante sia il titolare di una ditta individuale.

L’Agenzia ricorda così agli uffici che secondo un principio ormai consolidato, l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di un dato elemento di fatto può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento in rettiifca.

I soci

La Cassazione (sentenza 27824/2018) ha rilevato anche che, diversamente dalle dichiarazioni rese dal legale rappresentante, quelle del socio costituiscono solo un elemento presuntivo e come tale devono trovare conforto in ulteriori elementi per assurgere a prova. Fatta salva l’ipotesi in cui il socio sia anche legale rappresentante, infatti, per l’efficacia probatoria occorre che la dichiarazione provenga da persona capace di disporre del diritto i cui i fatti si riferiscono.

La posizione dell’Agenzia

Gli uffici adottano spesso nella pratica comportamenti differenziati: se le dichiarazioni sono a favore del contribuente: ne chiedono l’inammissibilità/illegittimità, perché contrarie alle regole del giudizio tributario; se invece sono a sostegno della pretesa erariale, ne evidenziano la rilevanza determinante.

In tale contesto è sintomatico che, nelle indicazioni fornite agli uffici, non siano citate le numerose sentenze di legittimità secondo cui anche le dichiarazioni acquisite dal contribuente e a lui favorevoli devono essere legittimamente valutate dal giudice. È evidente che i principi della Corte di cassazione non sono applicabili solo in favore di una delle parti, con la conseguenza che le dichiarazioni rappresentano sempre un elemento valutabile dal giudice a prescindere da chi possa beneficiarne.

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