Imposte

Ricerca e sviluppo, stop all’agevolazione sui compensi variabili ai soci

Il nuovo decreto del Mise introduce adempimenti e alcune limitazioni sui costi agevolabili

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di Stefano Mazzocchi

Nel nuovo decreto Mise sul credito d’imposta per ricerca e sviluppo, un ruolo importante lo ricopre l’articolo 6 in cui sono elencati i nuovi adempimenti e le limitazioni per le spese e gli investimenti che partecipino alla determinazione del beneficio fiscale. Iniziando dai principi generali, il decreto si è allineato con il testo di legge quando ribadisce che tutti i costi devono rispettare i principi generali di «effettività, pertinenza e congruità». Inoltre ricorda che sono da considerare solo i costi che siano imputabili, rispettando i principi contenuti nell’articolo 109 commi 1 e 2 del Tuir.

Gli ostacoli per la derivazione rafforzata e il divario tra i criteri

Questo costituisce, come già previsto nella precedente versione del credito d’imposta, un problema molto sentito dagli operatori soprattutto per i soggetti che siano obbligati all’adozione del principio di derivazione rafforzata. Si dovrà, pertanto, ovviare al problema con ulteriori annotazioni rispetto alla determinazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi. La situazione rispetto al passato, quindi, è peggiorata poiché tra le spese ammissibili, vi sono anche le quote di ammortamento relative ai beni materiali mobili unitamente ai software utilizzati nella ricerca e sviluppo, ampliando così il divario tra i criteri adottati per la determinazione del reddito imponibile con quelli utili per la determinazione degli investimenti agevolabili.

Il diniego alla deducibilità dei costi

Tra l’altro, rispetto agli ammortamenti dei soli beni immateriali, il Mise ha inserito correttamente un diniego alla deducibilità degli stessi, nel caso in cui le spese per l’acquisto abbiano partecipato integralmente alla determinazione della base imponibile per il credito d’imposta versione “15-19”. Infatti, si ricorda che alcuni beni acquistati sotto l’egida della precedente versione dell’agevolazione, partecipavano integralmente (e non per il solo ammortamento) alle spese ammissibili. In questo caso, gli ammortamenti seppure deducibili fiscalmente non possono partecipare nuovamente al credito d’imposta se non in una fattispecie ben delimitata ovvero nel caso di rivalutazione dell’intangibile a partire dall’esercizio in cui l’ammortamento diventi deducibile.

Lo stop sui compensi variabili agli amministratori

Infine tra le novità si segnala una disposizione abbastanza anomala prevista al comma 6 dell’articolo 6: la limitazione della partecipazione alle spese ammissibili per i compensi spettanti ai soci e agli amministratori. Tale limite non è previsto nel testo di legge e questa già rappresenta una difformità legislativa dove il Mise, molto probabilmente, ha ecceduto rispetto alla delega concessa dal legislatore. Infatti, in base alla norma il Mise doveva emanare un decreto solo per dettare «i criteri per la corretta applicazione di tali definizioni» ovvero quelli inerenti alla perimetrazione dei concetti di ricerca e di innovazione.

Fatta questa debita premessa, il Mise ritiene che i compensi spettanti agli amministratori partecipino alle spese ammissibili, in misura non superiore al 50% della sola parte fissa, con esclusione quindi di eventuali emolumenti variabili, ricollegabili ad esempio al buon esito degli investimenti in ricerca. Inoltre, tale compenso non solo deve essere erogato nel periodo d’imposta, ma deve anche essere autocertificato dal rappresentante legale (con tutte le eventuali conseguenze penali del caso) il quale dovrà attestare:

l’effettività della prestazione;

la congruità del compenso non solo «in relazione alla quantità di lavoro prestato» ma anche in base alle competenze tecniche possedute in rapporto «alle retribuzioni e compensi riconosciuti agli altri soggetti impiegati direttamente nelle medesime attività ammissibili».

La sola autocertificazione richiamata (senza la limitazione del compenso) deve essere redatta anche per i soci, i loro familiari nonché per i famigliari degli amministratori che collaborino nel processo d’innovazione. Per le start up e Pmi a base famigliare, tale norma rende impossibile la partecipazione dei soci e amministratori al processo di R&D, specie per la comparabilità obbligatoria, fra le competenze possedute e il compenso erogato.

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