Controlli e liti

Riciclaggio, con gli indici di anomalia dell’Uif un cambio di rotta

Una inversione dell’onere della prova anche nel solcotracciato dalla Corte Ue

immagine non disponibile

di Andrea Vicari

Il 12 maggio, l’Unità di informazione finanziaria presso Banca d’Italia ha emanato il provvedimento contenente tutti gli indicatori di anomalia, che da tempo era in gestazione (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). Un pregevole sforzo di consolidare in un unico documento legislativo, tutti gli indicatori per la selezione di situazioni che possono far sospettare l’esistenza di fenomeni di riciclaggio e che dovrebbero indurre a segnalare l’operazione come sospetta alle autorità.

Prima di questo esistevano una moltitudine di provvedimenti parziali destinati a specifici soggetti (intermediari, professionisti, revisori, operatori non finanziari) e destinati a specifiche operazioni (trust, assicurazioni, leasing, giochi, imprese in crisi), che perderanno effetto dal 1° gennaio 2024 in quanto tutti sostituiti dai nuovi indicatori.

Il provvedimento fornisce 34 indicatori, con relativi sub-indici, di anomalia che dovrebbero rappresentare prototipi di operazioni sospette ed è rivolto agli intermediari bancari e finanziari, agli altri operatori finanziari, ai professionisti, agli operatori non finanziari, ai prestatori di servizi di gioco e ai soggetti operanti nella gestione di strumenti finanziari, nonché́ agli operatori compro oro.

Tra gli indici di anomalia, vi sono le operazioni ripetute, artificiosamente frazionate o di importo complessivo rilevante, effettuate con strumenti che appaiono inusuali (per esempio, contante, valuta estera, oro, gioielli, crypto-assets o altri beni di rilevante valore), ma anche l’operatività̀ attinente a polizze assicurative nei rami vita, l’operatività̀ con strutture societarie, e l’operatività in crypto-assets.

Gli indici di rischio e gli schemi di anomalia continuano a considerare le attività di private banking ad alto rischio e molti strumenti impiegati come naturali portatori di sospetto di riciclaggio.

Questo ostacola la velocità nell’apertura o l’apertura stessa di rapporti con i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio e li incentiva a moltiplicare le segnalazioni “difensive” alle autorità anche in situazioni dove, oggettivamente, il cliente ha semplicemente fatto ricorso a tali strutture per legittime ragioni di privacy, protezione o di ottimizzazione fiscale. Questo anche in quanto gli schemi di anomalia sono poi impiegati dalle procedure informatiche degli intermediari per selezionare le operatività anomale e che, poi, producono segnalazioni quasi automatiche.

In questa situazione, non tutte le segnalazioni riescono ad essere vagliate, alcune sono attentamente verificate e poi archiviate, ma vi sono casi in cui la segnalazione porta all’avvio di indagini penali, aperte per approfondire la questione ma che coinvolgono il cliente in un tourbillon che sconvolge la sua vita, reputazione, impresa e famiglia per anni, che possono finire però con un’archiviazione, inidonea tuttavia a caducare gli effetti negativi derivati dalla sottoposizione ad indagine.

Ciò è frutto di un atteggiamento di sospetto determinato dal contesto storico in cui è stata concepita la disciplina antiriciclaggio: la prima decade degli anni 2000. A livello internazionale, il segreto bancario ancora dominava, mancavano gli scambi di informazione e quelli automatici non erano nemmeno immaginabili. Ingenti disponibilità finanziarie derivanti da reati fiscali o di altra natura erano occultate all’estero, in paradisi fiscali, presso private banks disponibili ad accoglierle ed altrettanto frequentemente detenute per il tramite di strutture societarie, trust, istituti analoghi e fiduciarie al fine di nascondere la loro titolarità effettiva. In tale contesto, la risposta naturale degli organismi europei fu quella di introdurre una disciplina antiriciclaggio che ponesse queste strutture in un alone di sospetto (di riciclaggio).

Da allora, il contesto è cambiato.

A livello globale, lo scambio automatico internazionale ha reso i conti bancari, ovunque situati, trasparenti e visibili direttamente da parte delle autorità del paese di residenza del loro titolare effettivo. Le strutture societarie o fiduciarie sono dunque divenute inutili per celare tali informazioni alle autorità.

A livello interno, l’inopponibilità del segreto bancario alle autorità, l’anagrafe dei rapporti bancari e il registro dei titolari effettivi consentono alle autorità di ottenere tutte le informazioni sulla titolarità effettiva di beni detenuti da strutture di pianificazione patrimoniale; dunque, queste non possono più rappresentare un ostacolo per le verifiche da parte delle autorità, sia in sede fiscale che penale.

Nonostante questa maggiore facilità di accesso alle informazioni, l’atteggiamento di molte autorità nazionali e organizzazioni internazionali non è cambiato: lo stigma apposto a queste strutture è rimasto. Tuttavia, negli ultimi tempi, questo paradigma appare incrinarsi agli occhi della giurisprudenza europea.

Recentemente, la Corte Ue ha aperto uno spiraglio per una modifica di prospettiva, che, se perseguita, potrebbe portare almeno a mitigare lo stigma apposto a queste strutture. In una sentenza epocale che si è occupata in modo specifico della libera accessibilità al registro dei titolari effettivi delle società, i giudici hanno però espresso anche un principio generale e fondamentale, affermando che per quanto riguarda le strutture societarie, i trust e gli istituti analoghi si debba «ricercare un giusto equilibrio tra il pubblico interesse alla prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo e i diritti fondamentali delle persone interessate» (Corte di giustizia, 22 novembre 2022 § 34). L’applicazione di questo principio potrebbe portare a riconoscere che, normalmente, l’utilizzo dei predetti istituti rappresenta l’esercizio di diritti fondamentali delle persone e dunque a rimuovere quello stigma negativo apposto a queste strutture: la Cedu riconosce come diritti fondamentali della persona non solo «il diritto al rispetto della vita privata e familiare», ma anche che il «diritto al rispetto dei suoi beni».

L’High Court inglese ha indicato che tale equilibrio potrebbe ricostituirsi semplicemente riconoscendo che l’impiego di «strutture societarie o trust non è, in quanto tale, sufficiente per dedurre che queste siano state create, o usate, per fini illeciti, quali il riciclaggio di denaro. Vi sono legittime finalità – privacy, sicurezza, ottimizzazione fiscale – per le quali i soggetti dotati di patrimonio investono i loro capitali attraverso tali strutture». (National Crime Agency v. Andrew J Baker, 8 aprile 2020, § 97).

Il provvedimento di Banca d’Italia, pur mantenendo queste strutture nel mirino, sembra timidamente muoversi in questa nuova direzione. L’Uif afferma che nell’applicare gli indicatori di anomalia, sia opportuno verificare «che le circostanze descritte nei medesimi rilevano ai fini del sospetto se non sono giustificate da specifiche esigenze rappresentate dal soggetto cui è riferita l’operatività̀, anche attraverso idonea documentazione, o da altri ragionevoli motivi. Ne deriva che nei singoli indicatori e sub-indici il riferimento alla giustificazione dell’operatività̀ posta in essere rimane implicito e, pertanto, le fattispecie ivi descritte, se giustificate, non sono da considerare sospette».

Rimane comunque un’inversione dell’onere della prova

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©