Imposte

Riforma da ripensare per promuovere lo sport dilettantistico

I decreti sugli Esd non sono stati coordinati con le regole del Terzo settore

ADOBESTOCK

di Gabriele Sepio e Thomas Tassani

Dopo i risultati della spedizione italiana ai giochi olimpici di Tokyo diventa prioritario avviare una riflessione sullo stato di attuazione della riforma dell’ordinamento e delle professioni sportive, oggetto della legge delega 86/2019. In particolare, ci si deve chiedere se i decreti delegati adottati nel febbraio di quest’anno (la cui entrata in vigore è stata rinviata al 1° gennaio 2023, salvo alcune norme operative già nel 2022) abbiano disegnato un regime giuridico idoneo a incentivare e promuovere l’attività sportiva nel nostro Paese. Un ruolo rilevante è assegnato alla disciplina tributaria. Del resto il regime di favore della legge 398/91 ha rappresentato, in questi anni, la principale forma di sostegno pubblico agli enti sportivi dilettantistici (Esd). Orbene, se si esamina la introducenda riforma dello sport dal punto di vista della fiscalità, sono diversi gli elementi di criticità.

In primo luogo, nel riordinare le disposizioni in materia di Esd, il Dlgs 36/21 non si è preoccupato di realizzare alcun raccordo con il Codice del Terzo Settore (Dlgs 117/2017 – Cts) che ha completamente riscritto la fiscalità degli enti non profit. Il risultato è quello di un’irrazionale creazione di ordinamenti paralleli, tra di loro non comunicanti. Si consideri che, con l’entrata in vigore del Dlgs 36/21, un Esd potrebbe: a) iscriversi al Registro nazionale ed applicare la legge 398/91, oppure b) iscriversi al Registro nazionale ed anche al Runts ed applicare il Cts anziché la legge 398/91, oppure c) non iscriversi al Registro nazionale ma solo al Runts ed applicare il Cts, oppure d) non iscriversi a nessun registro ed applicare il regime fiscale ordinario del Tuir.

Altra riflessione meriterebbe la scelta, ancora non del tutto chiara, di sottrarre al Coni la gestione del «Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche» per attribuirla al dipartimento per lo Sport (Dlgs 39/21) a cui dovrebbero spettare, quindi, i controlli sui requisiti previsti per l’scrizione ( da cui conseguono anche importanti benefici fiscali). A questo scenario fa da contraltare il fatto che la legge delega continua ad assegnare al Coni poteri di riconoscimento, indirizzo e vigilanza sulle attività sportive delle federazioni e degli enti.

Infine, i decreti delegati non hanno previsto una disciplina ad hoc del lavoro (e del lavoratore) sportivo, essendosi limitati a introdurre la figura dello sportivo amatoriale (sostanzialmente un volontario). La tassazione dei proventi dei tanti soggetti che prestano la loro attività nel mondo sportivo dilettantistico è invece ancora lasciata alla assai fluida tripartizione tra lavoro dipendente, autonomo e diverso, idonea a generare incertezze applicative, oltre che sacche di evasione e di scarsa protezione per i lavoratori (soprattutto dal punto di vista della copertura previdenziale).

L’auspicio è che il Governo colga quanto prima l’opportunità fornita dalla legge delega, di adottare disposizioni correttive e integrative dei decreti emessi, aprendosi al confronto con il mondo sportivo. In questo modo, si potrebbe meglio affinare il concreto impatto della riforma.

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