Imposte

Rinvio di un mese per la digital tax: versamento entro il 16 marzo

Prorogato anche il termine per la prima dichiarazione che slitta al 30 aprile 2021

di Alessandro Galimberti

Nel decreto legge 3/2021 pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 15 gennaio arriva la nuova mini-proroga per l’imposta sui servizi digitali.

Il Dl 3/2021 sposta di 30 giorni i termini previsti dalla legge di bilancio dello scorso anno. Il primo versamento per le società coinvolte - non più di alcune decine in tutto il Paese - andrà quindi effettuato entro il 16 marzo (e non più entro il 16 febbraio) e la prima dichiarazione dovrà essere inviata all’agenzia delle Entrate entro il 30 aprile (e non più entro il 31 marzo).

Con non più due righe dell’articolo 2 dell’ultimo provvedimento del governo Conte viene così sancito il nuovo stop and go di un’imposta che, di fatto, è stata più volte lanciata e bloccata ormai negli ultimi tre anni. A pesare sullo spostamento, probabilmente, è stata l’elaborazione delle proposte di attuazione pervenute dalla consultazione pubblica promossa dall’agenzia delle Entrate e chiusa lo scorso 31 dicembre, una partecipazione manifestata in oltre 40 contributi inviati da professionisti, associazioni di categoria e operatori sulla bozza di provvedimento attuativo dell’imposta sui servizi digitali, nella versione introdotta dalla legge di Bilancio 2019. L’agenzia delle Entrate da metà dicembre aveva reso disponibile in consultazione lo schema per raccogliere proposte e osservazioni sull'imposta del 3% dei ricavi derivanti da determinati servizi digitali realizzati da imprese di rilevanti dimensioni. Il versamento avverrà appunto a partire dal 2021 in relazione ai servizi digitali prestati nel 2020. Nella bozza sono state definite modalità di determinazione della base imponibile, ricavi esclusi, criteri di collegamento con il territorio dello Stato e obblighi contabili connessi, modalità per il versamento e per l’invio della dichiarazione annuale.

Nelle more dell’entrata in vigore, tra l’altro, sta continuando il braccio di ferro con l’amministrazione federale statunitense che sta chiudendo in questi giorni una decina di istruttorie contro le digital service tax adottate unilateralmente da vari Paesi tra Europa (soprattutto) e Asia.

Il perimetro tracciato dal parlamento italiano per la Imposta sui servizi digitali - che peraltro è del tutto sovrapponibile alle altre esperienze di digital tax in giro per il mondo - è molto stretto, toccando di fatto solo il B2c di imprese con oltre 750 milioni di euro fatturato globale e, contemporaneamente, di 5,5 milioni di euro su base italiana, con esclusione peraltro di molti settori strategici, dall’energia alla finanza.

Di fatto, l’imposta sui servizi digitali è percepita (e “comunicata” al pubblico) come tassa sullo sfruttamento commerciale dei dati intermediati, sostanzialmente quindi indirizzata a colpire i mercati esteri delle Big Tech (o cosiddetti Gafa) statunitensi.

Secondo la Ustr, - il rappresentante federale per il commercio Usa, che ha messo all’indice la web tax tricolore all’esito di una lunga istruttoria - l’ imposta sui servizi digitali italiana, che a metà marzo andrà al primo incasso, colpisce 43 società, o gruppi di società. Di queste 27 sono società statunitensi, tre italiane e le restanti 13 provengono da altri paesi. Per questi motivi e per altri inerenti la struttura dell’imposta (il 3% sul fatturato invece della classica aliquota sugli utili) la Ustr ha classificato la digital tax italiana come discriminatoria e quindi suscettibile di innescare rappresaglie commerciali.

Il gettito atteso per il 2021 - quindi relativo ai ricavi digitali 2020 - è di 780 milioni di euro, in teoria target che dovrebbe essere bissato nel 2022.

Se nel frattempo si arrivasse mai a definire una web tax in sede Ocse, la Isd italiana vi si adeguerebbe con l’accordo di ricalcolare i saldi (maggiori o minori) rispetto ai futuri standard.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©