Il CommentoImposte

Risposte troppo lunghe sull’esigibilità dell’Iva in attesa del testo unico

Riflessioni sullo strumento dell’interpello in seguito alla risposta n. 666 del 5 ottobre scorso

di Raffaele Rizzardi

Niente di nuovo sotto il sole: gli interpelli e le relative risposte risalgono all’impero romano, si chiamavano “rescritti”, ed avevano il merito della sintesi. La richiesta di parere era nella metà sinistra di una tavoletta scrittoria e la risposta occupava la parte destra.

Interessante è anche osservare che l’incipit della risposta era sostanzialmente uguale ad un inciso ricorrente nella prassi attuale: «se sono vere le affermazioni che hai riassunto». L’interpello ha valore se e in quanto il caso sia stato correttamente rappresentato senza sottacere circostanze che potrebbero essere significative.

Queste riflessioni vengono alla mente dalla lettura della risposta del 5 ottobre scorso, numero 666.

Una prima considerazione attiene all’entità delle risposte che vengono pubblicate: nel 2019, primo anno completo, i documenti sono stati 538; nel 2020 c’è stato un lieve aumento a 643, mentre nel 2021 siamo arrivati alla fine della scorsa settimana a 694. Mancano quasi tre mesi alla fine dell’anno ed è in vista il traguardo tondo di 1.000 risposte.

I contribuenti e i consulenti fanno fatica a star dietro a questa massa di risposte. Il problema era stato già avvertito dal legislatore, che al comma 6 dell’articolo 11 della legge 212/2000 distingue tra la comunicazione della risposta ai singoli istanti, in quanto si riferisce ed ha valore per il singolo caso, e la pubblicazione, che deve avvenire mediante la forma di circolare o di risoluzione, nei casi controversi e comunque in ogni altro caso in cui l’amministrazione ritenga di interesse generale il chiarimento fornito.

Senza arrivare alla circolare o alla risoluzione, un’altra fonte di informazione, con una adeguata sistematicità, è data dalle risposte alle frequently asked questions, cioè ai quesiti più significativi, di cui non pochi sono formulati dalla stessa amministrazione finanziaria, per guidare i contribuenti al corretto adempimento.

Tornando al requisito della sintesi e ad una riflessione sulla risposta numero 666, il quesito era abbastanza banale, quasi da respingere come interpello per la chiarezza della norma applicabile. Un contribuente sta per chiudere la partita Iva, e si trova con fatture emesse ad esigibilità differita. Cosa deve fare, cioè computare l’Iva a debito al momento in cui chiude la posizione, lo dice chiaramente il comma 4 dell’articolo 35 della legge Iva. Nel quesito c’è la variante dell’intervenuta cessione del credito al socio unico, ma anche qui è pacifico che siamo in presenza di una operazione di finanziamento estranea all’assolvimento dell’Iva nei confronti dell’erario (circolare 15 febbraio 2013, n. 1/E, § 3.1).

La risposta ovviamente contiene queste precisazioni, ma comporta un notevole sforzo di attenzione da parte del lettore, in quanto viene espressa con 1.231 parole (8.300 caratteri), perché non solo si occupa del quesito, ma affronta il tema dell'esigibilità dell'Iva nel caso in cui le prestazioni non fossero state fatturate. Ma qui lo erano, perché l'esigibilità differita è supportata da una fattura.

Questa estensione della risposta è motivata dalla erronea «soluzione interpretativa prospettata dal contribuente», che faceva riferimento alla risposta numero 163 dell'8 marzo 2021, relativa ad un caso molto complesso, di un contribuente che era fallito, ma che non aveva mai fatturato le sue prestazioni già ultimate.

Queste situazioni dovranno comunque essere riviste nell’auspicabile redazione del testo unico Iva. Il nostro ordinamento attuale è in contrasto con le direttive, in quanto considera effettuate le prestazioni all'atto del pagamento, come se fosse il fatto generatore del tributo, mentre la direttiva vede questo momento all’ultimazione del servizio. Solo l'esigibilità può essere rinviata al pagamento.

Un’ultima osservazione: questo contribuente deve sicuramente versare tutta l’Iva fatturata se cessa l’attività con i crediti in contestazione. E se poi riscuote di meno, ha perso l’imposta o – speriamo ci si pensi – potrà fare una domanda di rimborso fuori sistema?