Imposte

La partita Iva resta aperta se non si versa l’imposta

Secondo l’interpello 666 per chiudere l’attività diventa necessario anticipare l’imposta

di Anna Abagnale e Benedetto Santacroce

Una società, che intende chiudere la partita Iva, è tenuta a versare l’imposta pur non avendo ricevuto il corrispettivo ovvero deve tenerla aperta finché non lo riceve. In questi termini si espressa la risposta a interpello 666/2021. Il caso è quello di una società che ha reso prestazioni di servizi nei confronti di un ente locale documentate da fattura con Iva ad esigibilità differita e non ancora pagate. Essendo sua intenzione cancellarsi dal registro delle imprese, la società si chiede se sia possibile assegnare tale credito con il riparto finale del procedimento di liquidazione al socio unico.

La soluzione delle Entrate non è innovativa. Già la circolare 11/E/2007 disponeva nel senso di non considerare cessata l’attività del professionista fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti e, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale. Tale orientamento ha trovato successiva conferma nelle Risoluzioni 232/E/2009 e 34/E/2019. Negli stessi termini anche la Cassazione (Sezioni Unite sentenza 8059/2016; ordinanza 22516/2020) la quale, in sostanza, obbliga il professionista a tenere in vita la propria partita Iva fino a quando non ha riscosso i propri crediti professionali, qualora non intenda anticipare la fatturazione dei compensi, quindi il versamento dell’imposta, prima dell’effettivo incasso. Sulla scia di tali precedenti, l’Agenzia decide il caso di specie nel senso che la società in questione è tenuta a computare l’Iva nella dichiarazione annuale da presentare con riferimento all’ultimo periodo d’imposta prima della chiusura dell’attività.

Il fondamento della decisione sembrerebbe avere carattere più pratico che giuridico. L’articolo 6 del Dpr 633/72, riguardo alle prestazioni di servizi, prevede che il fatto generatore (i.e. l’imponibilità) dell’Iva si realizza al momento in cui il servizio è ultimato, mentre l’imposta diventa esigibile al momento dell’incasso del corrispettivo o, se anticipato, al momento dell’emissione della relativa fattura. L’emissione anticipata della fattura, dunque, è una facoltà, prevista dalla legge, in grado di anticipare il momento a partire dal quale l’Erario può richiederne il pagamento e non può essere una scelta obbligata. Non si trascuri poi quanto chiarito dalla Corte di giustizia (sentenza C-335/19) circa la rettifica in diminuzione della base imponibile: la stessa non può essere subordinata al fatto che debitore e creditore siano registrati come soggetti passivi al momento della rettifica, poiché «l’esistenza del credito e l’obbligo di adempimento del debitore non dipendono dal mantenimento dello status di soggetto passivo del creditore». Tale ultimo principio dovrebbe valere anche in riferimento al caso di specie. Quindi il problema del pagamento dell’imposta (ovvero del credito d’imposta) che dopo la cessazione dell’attività dovrebbe trovare una soluzione operativa senza stravolgere i principi informatori dell’imposta.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
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