Ritenute, niente duplicazione del prelievo in assenza di certificazione
L’ufficio non può chiedere di pagare la ritenuta al professionista che dimostra di avere già subìto la tassazione Irpef, anche se non ha la certificazione del sostituto d’imposta. È questo, in sintesi, quanto stabilito dalla sentenza 14138/2017 della Cassazione . Deve essere perciò accolto il ricorso del contribuente e deve essere annullata la cartella di pagamento, riconoscendo il diritto allo scomputo delle ritenute d’acconto subìte sui redditi di lavoro autonomo anche se il contribuente non ha esibito le certificazioni del sostituto d’imposta. Per la Cassazione, vale il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo». La rilevanza formale della certificazione, in ogni caso, «non può travolgere la realtà sostanziale del rapporto trilatero fra sostituito, sostituto e fisco».
Scomputo anche senza certificazione
Il contribuente che percepisce le somme al netto della ritenuta operata, anche se la stessa non è versata dal sostituto, è legittimato a detrarla non potendo pagare due volte l’imposta dovuta. Per di più, è la stessa agenzia delle Entrate, con la risoluzione 68/E del 19 marzo 2009, ad ammettere che il contribuente è comunque legittimato allo scomputo delle ritenute subìte, a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente da banche o altri intermediari finanziari, idonea a provare l’importo del compenso effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura. Nei casi in cui fattura e documentazione siano prodotte in sede di controllo formale, a norma dell’articolo 36-ter del Dpr 600/1973, alle stesse andrà, inoltre, allegata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui il contribuente dichiara, sotto la propria responsabilità, che la documentazione attestante il pagamento si riferisce ad una fattura regolarmente contabilizzata. Nelle ipotesi di controllo formale, infatti, limitatamente ai redditi di lavoro autonomo e d’impresa, la dichiarazione sostitutiva, accompagnata dalla fattura, in cui è generalmente indicata la ritenuta, e dalla documentazione rilasciata da banche o altri operatori finanziari, assume un valore probatorio equipollente a quello della certificazione rilasciata dal sostituto d’imposta, rilevando la stessa come «dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà».
L’assenza della certificazione non può duplicare il prelievo
Per la Cassazione, numerose pronunce segnalano che l’attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive o duplicazione di prelievo. Il percettore sostituito può contestare in giudizio il recupero della ritenuta, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subìte, attesa la generale emendabilità della dichiarazione fiscale (Cassazione 3304/2004). Inoltre, l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la certificazione attestante le ritenute operate non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte (Cassazione, 7251/1994). Il contribuente «non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco» (Cassazione, 3725/1979). Per i giudici di legittimità, «la norma dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto ne subordina la legittimità alla sola condizione che esse siano state “operate” (articolo 22 del Dpr 917/1986)». Rileva un fatto storico (decurtazione del corrispettivo), che, anche se viene provato tipicamente con la certificazione di chi ha operato la ritenuta, può essere provato con mezzi equivalenti da chi ha subìto la ritenuta. È infine significativo il fatto che la stessa agenzia delle Entrate consente lo scomputo delle ritenute non certificate, se il contribuente ne dà prova equivalente al certificato (risoluzione 68/E/2009).
Cassazione, sentenza 14138/2017