Contabilità

Rivalutazione titoli a prova di sostitutiva

Il Mef in risposta al question time n. 5-00248 in commissione Finanze alla Camera: il contribuente deve fornire la prova del pagamento dell’imposta del 16%

di Marco Piazza

Nel caso di opzione per la rideterminazione del costo fiscale di azioni, titoli o diritti negoziati in mercati regolamentati detenuti in regime di risparmio amministrato o gestito, il nuovo costo fiscale potrà essere preso in considerazione dagli intermediari soltanto dopo che il contribuente avrà fornito la prova dell’avvenuto versamento dell’imposta sostitutiva del 16% o almeno della prima rata.

Lo ha confermato il ministero dell’Economia in risposta al question time n. 5-00248 in commissione Finanze alla Camera riguardante la facoltà di rivalutazione delle partecipazioni contenuta nell’articolo 1, comma 107, della legge 197 del 2022 (legge di Bilancio 2023).

Viene così tempestivamente (e ragionevolmente) risolto un problema che aveva creato incertezze fra gli operatori del settore.

Non basta, quindi, che il cliente comunichi all’intermediario il nuovo costo fiscale rideterminato, ma è anche necessario che esibisca l’F24 da cui risulti il pagamento dell’imposta sostitutiva.

Se fosse necessario un codice tributo diverso dall’8055, fino ad ora in uso, sarebbe utile che venisse istituito il più presto possibile

Per i titoli non negoziati deve considerarsi ancora valida la prassi (circolare 12/E del 2002, paragrafo 5, circolare 81/E del 2002, paragrafo 3.4 e Abi, circolare 21 del 2002, paragrafo 4) secondo cui è sufficiente il giuramento della perizia; l’acquisizione dell’F24 può avvenire successivamente.

È confermato, inoltre, che, a differenza di quanto accade per l’affrancamento dei fondi comuni d’investimento, l’imposta sostitutiva sulla rideterminazione del costo delle partecipazioni deve essere versata dal contribuente e non dagli intermediari.

Infine, non vi sono ostacoli alla possibilità di rideterminare anche il costo delle azioni immesse in regime di risparmio gestito.

Peraltro, poiché il valore fiscale dei titoli in risparmio gestito è già aggiornato al 31 dicembre di ogni anno, non pare che vi sia un concreto interesse a fruire della possibilità.

Altra questione che ha creato discussione fra gli operatori è come debba essere rideterminato il valore delle azioni denominate in valuta. A tal fine si può ricordare che in un analogo precedente (circolare 188/E del 1998), l’agenzia delle Entrate ha precisato che occorre prima calcolare la media aritmetica del mese di dicembre in valuta e poi convertire il risultato in euro al cambio del giorno di riferimento della rideterminazione (31 dicembre 2022 dato che non vi sono quotazioni al 1° gennaio 2023)

La rideterminazione del costo delle partecipazioni quotate non sta riscuotendo grande successo, sia perché in molti portafogli sono presenti minusvalenze realizzate e latenti che difficilmente potranno essere compensate con future plusvalenze, sia perché l’imposta sostitutiva al 16 per cento fa sì che la rivalutazione convenga solo nei casi in cui il valore rideterminato sia almeno pari a ben 2,6 volte il costo medio d’acquisto del titolo, tenendo peraltro conto dell’alea derivante dal fatto che, fra il 1° gennaio 2023 e la data in cui il cliente ha effettua la rideterminazione, questo costo può essersi modificato, in aumento o in diminuzione, per effetto di nuovi acquisti.

La regola per cui, inoltre, la rideterminazione non potrà consentire in futuro di realizzare minusvalenze fiscalmente rilevanti, rende ogni valutazione estremamente complessa e incerta.

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