Rottamazione, le spese della lite alzano il conto
È condannato alle spese di lite, il contribuente che rinuncia al ricorso per aver aderito alla rottamazione dei ruoli. A tale conclusione è giunta la Cassazione, con l’ordinanza 8377 depositata lo scorso 31 marzo 2017, che sembra contrastare una precedente (verosimilmente la prima) interpretazione in materia dei medesimi giudici.
La vicenda riguardava una contribuente che aveva impugnato un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia contestava l’omessa contabilizzazione di alcuni ricavi dell’impresa gestita. Entrambi i gradi di merito, confermavano la fondatezza della pretesa, così la contribuente ricorreva in Cassazione. Nelle more, la stessa presentava la dichiarazione di adesione alla definizione agevolata (rottamazione dei ruoli) e contestualmente, depositava nel fascicolo processuale, un atto di rinuncia al ricorso. Ne conseguiva così l’estinzione del giudizio.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rilevato che la parte rinunziante doveva essere condannata alle spese di lite, in considerazione della sua soccombenza virtuale. I giudici di legittimità, quindi, hanno valutato i diversi motivi proposti dalla contribuente con il proprio ricorso, al solo fine della quantificazione delle spese.
In altre parole, poiché in assenza della definizione agevolata dei ruoli, la Cassazione avrebbe respinto le doglianze della contribuente, l’ha condannata alle spese.
La decisione fa certamente riflettere, poiché introduce il principio secondo il quale, nonostante l’adesione alla rottamazione e l’estinzione del giudizio, il ricorso proposto va comunque letto e giudicato per decidere sulla soccombenza “virtuale” ai fini delle spese.
La Cassazione pare aver rigorosamente applicato l’articolo 391 del Codice di procedura civile, secondo cui il decreto, l’ordinanza o la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa, alle spese. La rottamazione pare quindi essere stata considerata la “causa” dell’estinzione, alla quale può seguire la condanna.
Va da sé che il primo effetto ricade sul possibile ulteriore costo per aderire alla definizione agevolata. Il contribuente, infatti, dinanzi a un giudizio pendente, dovrà considerare non solo le imposte iscritte a ruolo, ma anche le possibili spese di lite nell’ipotesi di soccombenza virtuale.
In virtù di tale principio, però, potrebbe essere condannato anche il contribuente nell’ipotesi di ricorso proposto dall’Ufficio e ciò, sempre ove si considerasse l’adesione alla rottamazione quale “causa di estinzione”.
Tuttavia, la stessa norma prevede che tale condanna non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti, con la conseguenza che potrebbe essere opportuno depositare la rinuncia in accordo con l’Ufficio anche relativamente alla compensazione delle spese.
Per il giudizio pendente in commissione tributaria, dovrebbe, valere la disposizione contenuta nell’articolo 44, Dlgs 546/92, secondo il quale il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro.
L’agenzia delle Entrate (circolare 2/2017) aveva ritenuto che la rinuncia richiesta dalla norma sulla rottamazione, non fosse riconducibile a quanto previsto dal processo tributario. Tuttavia, alla luce del principio affermato dalla Cassazione, converrebbe prima di rinunciare, accordarsi sulle spese. È, infatti, verosimile, che gli stessi Uffici, per non rischiare, eventuali soccombenze virtuali, chiedano la sottoscrizione di accordi in tal senso.
Va segnalato, però, che la Cassazione, con ordinanza 5497 depositata il 3 marzo 2017, era giunta a conclusioni differenti. Dinanzi alla definizione dei carichi proposta dal contribuente, aveva dichiarato l’estinzione del giudizio con compensazione integrale delle spese.
I giudici di legittimità, sul punto, si erano limitati a rilevare che alla luce “dell’esito della lite” si ravvisava la necessità di compensare le spese. In tale circostanza, quindi, la scelta del contribuente non era stata ritenuta “causa di estinzione” tale da condannarlo alle spese, ciò verosimilmente perché l’interessato si era avvalso di un istituto definitorio previsto per legge.
È evidente, che nelle more di un orientamento definitivo si spera favorevole al contribuente, è prudenziale concordare con la controparte la compensazione delle spese.
Cassazione, ordinanza 8377/2017