Royalty infragruppo al test dell’inerenza
Spesso nei gruppi d’impresa i diritti di proprietà dei beni immateriali sono concentrati presso la capogruppo, per centralizzarne la struttura e la gestione complessiva. Di conseguenza, i relativi rapporti vengono normalmente regolati da contratti concernenti il trasferimento dei beni intangibili, con la stipula delle modalità con cui sono traslati i diritti di sfruttamento del bene.
L’assegnazione di un diritto all’utilizzo avviene nell’ambito di un dato territorio, coincidente con quello in cui opera la società licenziataria appartenente al gruppo, con il pagamento di una royalty periodica che vale a qualificarne la spesa per la concessione in sub-licenza (in esclusiva o no).
Dalle pattuizioni contrattuali in essere emerge la specifica tipologia di utilizzo (diretto e/o indiretto) rilevante ai fini del patent box.
Poniamo il caso di una società licenziataria italiana che voglia quantificare il reddito agevolabile ai fini del patent box connesso allo sfruttamento del diritto di proprietà industriale. Tale società deve innanzitutto procedere alla determinazione del contributo economico connesso al bene intangibile, che deve essere poi moltiplicato per il rapporto tra le spese qualificate di ricerca e sviluppo e i costi complessivamente sostenuti.
Proprio in relazione al calcolo dei costi complessivi, posti al denominatore della formula utilizzata per l’ottenimento del coefficiente nexus ratio, il corrispettivo corrisposto per la royalty – secondo il principio generale di inerenza dei costi – dovrà essere caratterizzato da un nesso di strumentalità con l’attività svolta dalla società. In altri termini, lo sfruttamento del bene intangibile dovrà avere una concreta utilità per l’incremento dei ricavi societari.
In secondo luogo, occorrerà operare in ossequio al principio della substantial activity. Secondo questo principio – nel calcolo del rapporto tra spese qualificate e costi complessivi – i costi non qualificati (infragruppo e di acquisizione da terzi) incrementano il numeratore (up-lift) nel limite del 30%, partendo dal presupposto che solo una certa quota di costi possa essere data in outsourcing a società del gruppo senza che la società ne perda il controllo e la gestione (control over risks).
Inoltre, va ricordato che nell’ambito di attività di ricerca e sviluppo operate infragruppo può accadere che solo una parte degli oneri sostenuti concorra effettivamente alla formazione delle spese complessive. Tale circostanza era già stata oggetto di chiarimenti con la circolare 11/E/2016.
Nell’occasione, l’Agenzia aveva precisato che il numeratore del nexus ratio può essere sì incrementato dei costi afferenti alle attività di ricerca e sviluppo sostenuti dal soggetto beneficiario dell’agevolazione nell’ambito di accordi per la ripartizione dei costi (Cost Contribution Arrangements, Cca), ma solo nei limiti dei proventi costituiti dal riaddebito dei costi di sviluppo, mantenimento e accrescimento ai soggetti partecipanti all’accordo per la ripartizione dei costi e sempre che gli oneri sostenuti dal soggetto che ha svolto l’attività sostanziale di ricerca siano qualificabili come in parte a vantaggio della società consorella che, diversamente, vede tali costi esclusi.